Archivi tag: scrittura

Equinozio di primavera – Le cose da fare

-Foto di Sergio Cerrato da Pixabay-blu
-Foto di Sergio Cerrato da Pixabay

Premessa:

“Nonostante provi a scacciare le difficoltà a suon di bestemmie, gli impegni hanno preso il sopravvento quindi niente podcast questa settimana.
Lanciatemi una maledizione nei commenti la merito.”
(Daniele Fabbri-yt)

Siamo in una società orwelliana, e questo è risaputo, ma l’esasperazione di questi tempi mai l’avrei immaginata.
Siamo sommersi di “cose da fare” dovendoci ricordare che ci sono anche cose che non possiamo fare che ci obbligano comunque a farne altre.
Così si aggiungono cose da fare alle cose da fare.
Ognuno  con i suoi problemi, piccoli o grandi che siano, che ci sommergono la giornata e quando rialziamo la testa dal sacco ci accorgiamo che per quello che avremmo voluto fare non avanza il tempo.

E le cose da fare non riesci a farle tutte e  tutte insieme. Sono importanti e vitali ma sono parassiti che ci mangiano il tempo e lo spirito, Arte artata.
I pensieri provano a radunarsi per trovare ognuno la sua via, si aggrovigliano cercando un tempo in uno spazio che ne è avaro.
E allora il capo cerca le mani.

Quella testa stretta dalle mani a coppa su cui si china, quasi a voler raccogliere i pensieri che strabordano.
Quante teste su quante mani, ché le bestemmie non bastano più.
È questione di Resistenza. Ci vuol coraggio.

Ma io mi sono stufata di essere fagocitata dalle cose da fare.
Le farò lo stesso, ma una alla volta dedicandogli il tempo che meritano, e non è quello della mia vita.

Oggi è l’equinozio di primavera, la natura si risveglia, è un buongiorno per ricominciare ad Esserci.
Anche solo per quei pochi attimi rubati a un sonno “disturbato” dalle “cose da fare”. Basta poco, anche solo un’ora, a letto col PC sulle gambe.  Come ora.

La strada per i sogni è lunga e impervia, meglio incamminarsi.

 

I santi di ghiaccio, una pandemia

Le tre Parche - Bernardo Strozzi
Le tre Parche – Bernardo Strozzi (Il Cappuccino) 1581-1644 – Immagine di pubblico dominio

Nella tradizione, che il clima pare non smentire, questi tre giorni di maggio (12,13 e 14) sono i giorni dei “santi di ghiaccio”.

Tre giorni in cui la primavera sembra ritirarsi per concedere l’ultimo saluto all’inverno morente. “Aprile non ti scoprire e maggio vai adagio”, diceva saggia la nonna mentre ti costringeva a metterti il golfino sapientemente lavorato “ai ferri”.

Ma il ghiaccio che ci permea è ben altro e non basterà un golfino.
È il ghiaccio dentro.

È negli animi chiusi all’altro, il nemico sociale, il nemico virulento, l’invasore, colui che ci ruba pane e lavoro.
È nel rigurgito lanciato contro colei che non è morta in prigionia e dall’alto dei suoi 20 anni riceve l’abbraccio di una madre che la credeva persa.

È nel terrore della solitudine che costringe ad ascoltar null’altro che la vacuità della propria mente.
È nell’odio fine a sé, a null’altro che a sé.
È nelle scarpe rosse in filari su una gradinata, vuote, come la vita che le ha smarrite.
È nella disperazione di un desco scarno che non vuole sventolare la bandiera della resa.
È nel silenzio assordante di un mondo deserto di gente.
È nei campi orfani di coscienza e in mani invisibili alla raccolta.
È nel frastuono delle bombe che non si ammalano mai.
È negli spazi lasciati da fiori assetati di vita, giovani germogli o querce antiche.

È in chi ha rubate le cesoie ad Atropo per scegliere il filo da recidere.
È nei diritti sospesi come il respiro di chi teme e di colui che lotta per non lasciarlo andare.
È nella Terra stritolata a cui abbiamo dato solo un attimo di riposo.
È nell’inconsapevolezza di chi pensa che tutto sarà come prima e non sa che ora è già dopo.

I santi di ghiaccio sono tra noi, tutti i giorni.

Raggelate le Muse tacciono mentre la Triste Signora miete i suoi campi.

Tiade

Era di Maggio…

Illustrazione Italiana 1898 - Sigaraie lasciano il lavoro Pubblico dominio - Luca Comerio (1878–1940)
Illustrazione Italiana 1898 – Sigaraie lasciano il lavoro
Pubblico dominio – Luca Comerio (1878–1940)

Per la festività del Primo Maggio volevo contribuire con un articolo, ma tanti saranno gli articoli più inerenti di storia e di rabbia per la festa dei lavoratori, e non del lavoro che non è un soggetto.

Ma di questi tempi il lavoro è scarso e quando si cantava “se otto ore vi sembran poche, provate voi a lavorar” non si pensava certo che si sarebbe ritornati a lavorarne anche quindici in condizioni che definirei disumane.
Qualsiasi cosa dica rischierebbe di avere il sapore della retorica, ho deciso così di contribuire a modo mio rispolverando un racconto breve, che fa parte di una serie dedicata alle donne sparse tra le epoche e la storia, che prende spunto dalla “Rivolta del pane” di Milano del 7 Maggio 1898 soffocata nel sangue dalle cannonate del generale Bava Beccaris.
La maggioranza dei rivoltosi: donne e ragazzi.

Storie al rogo
Era di Maggio

Era di Maggio, e fiorivan le rose.

Ma le sue mani non sentivano le spine.
Mani callose, ingiallite e tagliate dalla canapa.
Come una Parca intrecciava corde, mentre i fili della sua vita si scioglievano.
E il salario non bastava mai, non bastava per tutto, non bastava e basta.
Moira, detta Pincinella, ricordava ancora le parole di Anna, Anna con quel nome strano, straniero, ma che parlava una lingua che lei capiva.
Eccome se la capiva.
Ecco perché era lì. Perché aveva capito.

In piazza quella volta voleva esserci anche lei. Vedeva altre donne poco lontano, eran mondine, la tosse le tradiva, e più in là alcune tabaccaie con la pelle ingiallita.
Questo non è il giorno“, qualcuno disse . “E quand l’è ch’el vegnarà donca el dì?” chiese un operaio.

Per lei venne quel giorno stesso.
Era domenica e fiorivan le rose, e il fuoco la colse di sorpresa.
Il fuoco dei cannoni di Bava Beccaris respinse la folla, ma lei il sangue non lo vide mai.

C`è chi dice che solo la sua ombra, staccata dal corpo in un ultima magia, sia sopravvissuta al rogo e vaghi in cerca di una nuova Pincinella nei secoli a venire.
E c`è chi giura di averle parlato.

Tiade 18 maggio 2007

Noi siamo acqua

Sorella Acqua - Pioggia

Laudato si’, mi’ Signore, per sor’aqua, la quale è multo utile et humile et pretiosa et casta. (Cantico delle creature – S. Francesco)

Il 22 Marzo si è celebrata la giornata mondiale dell’acqua.

Sul nostro pianeta l’acqua è presente nelle sue tre forme, liquida, solida e gassosa (a quanto pare cosa rara nell’universo).
La vita sulla Terra è iniziata nell’acqua. Noi nasciamo immersi nell’acqua.
Tutti gli organismi dipendono dall’acqua e ne contengono in quantità elevate.
Senza acqua non c’è vita e dalla qualità dell’acqua dipende la qualità della vita.

L’acqua è un potente solvente e, a seconda dell’età, il nostro corpo ne è composto dal 75 al 50 per cento. Essa rappresenta il veicolo di tutte le sostanze e di tutti gli elementi vitali nel nostro organismo. È la principale componente del corpo umano fin dalla più piccola cellula che, a sua volta, è composta principalmente di acqua.

L’uomo, durante la sua breve vita, ne beve circa 25.000 litri per il mantenimento delle sue funzioni biologiche e delle strutture organiche.
La carenza di questo elemento rallenta l’attività cellulare e causa seri danni agli organi. Se il contenuto d’acqua nella cellula scende al di sotto del 50 per cento i processi vitali si paralizzano, spesso anche in modo irreversibile. Il nostro corpo può resistere anche oltre un mese senza mangiare ma, dipendentemente da condizioni ambientali e fisiologiche, senza questo elemento, in capo al massimo a una settimana subirebbe danni tali che lo condurrebbero a una fine certa.

Oggi siamo consapevoli di quanta poca cura abbiamo avuto per questa risorsa che, insieme alla siccità data dal cambiamento del clima, è sempre più inquinata e sempre meno “casta” (pura). Nei mari esiste il problema delle micro e macro plastiche e anche le falde soffrono per l’infiltrazione di elementi chimici dati dalle attività umane riducendo considerevolmente le fonti disponibili.

Solo questi pochi dati dovrebbero farci riflettere sull’importanza di una risorsa vitale considerata merce che si tenta di privatizzare mentre oltre due milioni di persone al mondo soffrono la sete.
Un vero delitto contro l’Umanità.

le feste della ruota – Equinozio di Primavera – Primiera – Ostara

Tramonto di primavera

È uno dei sabba minori che si svolge durante l’equinozio di primavera e celebra il risveglio della Dea dal suo sonno invernale per congiungersi con il Dio che l’inverno ha dominato. Così come si incontrano il giorno e la notte, che che in questo giorno sono della stessa durata, gli dei si incontrano in una sorta di fidanzamento per risvegliare la natura sopita. Unione che trova il suo culmine il primo Maggio in uno dei sabba più importanti: Beltane o Calendimaggio.

In questo giorno di rinascita si praticano i riti di purificazione dei corpi con abluzioni rituali e profumi, degli ambienti, la benedizione delle candele che si useranno durante l’anno a simboleggiare il ritorno della luce e si colorano le uova per farne dono come augurio di prosperità.
L’uovo, un simbolo archetipo legato al femminile, è di grande valenza in moltissime culture fin dalla preistoria a partire dai culti della Grande Madre. È il grembo primordiale, la culla originaria, il veicolo, l’uovo filosofico, l’uovo alchemico, l’uovo cosmogonico.
Un articolo esaustivo e molto interessante sulla simbologia dell’uovo si può trovare QUI.

Come si può ben notare, ataviche tradizioni e simbologie percorrono i tempi e vengono inglobate in usi e costumi legati alla religione contemporanea. La rinascita, le benedizioni, le uova e le pulizie, per l’appunto di Pasqua.

Le date possono non coincidere oggi, ma sintomatica è la coincidenza del periodo che ruota comunque intorno all’equinozio.

E di una nuova alba, di rinascita, più che mai ha bisogno l’empatia della specie. L’essere umano è talmente immerso in un vortice egoistico che dimentica il suo bisogno di aggregazione. La solitudine uccide. Ha talmente rifiutato la propria empatia, vissuta come debolezza, da non riuscire più a sentire ciò che lega gli individui fra sé e al mondo che li ospita, il mondo fisico, la Terra. Casa e Madre, matrice di un rapporto inscindibile.
La Madre che stiamo violentando non ha bisogno di noi, ma se uccidiamo la Madre sarà solo un ignominioso tramonto.

Se qualcosa può andar storto…

Legge Di Murphy
È la legge di Murphy, non ne scappo.

Da un anno a questa parte arrivano a ruota.
Non bastava l’incidente a Delfo, per fortuna senza gravi conseguenze, che ha distrutto l’auto e ci ha lasciati a piedi, non bastava la sequela di esequie che hanno prosciugato il fondo cassa ritardando un intervento non ulteriormente procrastinabile, non bastavano i problemi con l’hosting che hanno fatto sparire il sito per un po’ e i continui messaggi di “Error establishing a database connection” che per pubblicare un articolo ci vogliono due giorni, ci voleva una ciliegina sulla torta: il mio stupendo portatile MSI ha deciso di spegnersi, definitivamente.
Ci è voluto un po’ per recuperare un vecchio scatolone asmatico di ben 2 Gb di memoria e una scheda grafica integrata (sic!), ma dotato di uno “stupendo” monitor Philips, quadrato, di ben 15 pollici di era antidiluviana. Indi, per la grafica dovrò ancora pazientare. In compenso sono riuscita a fargli vedere il mio hd, ma solo come secondario mentre la connessione wifi è utopica, funziona solo tramite usb. Non posso nemmeno aprire troppe finestre contemporaneamente e questo mi rallenta tantissimo. È d’uopo accontentarsi.

Non intendo rinunciare però a pubblicare gli articoli che avevo programmato per marzo, anche se in ritardo, anche se non tutti, sperando nella comprensione di chi ha ancora la pazienza di visitare il sito per vedere se esisto. Niente articolo sulla festa della donna, sulle origini del carnevale ambrosiano, sulla giornata del p-greco o quella della poesia o la giornata internazionale contro la violazione dei Diritti umani per la quale almeno un pensiero è d’obbligo.

Pubblicherò invece gli articoli sull’acqua, visto che il 22 marzo è stata la giornata mondiale dell’acqua e che sono articoli che avevo già pubblicato nel bollettino che redigevo per la mia azienda agricola.
Cercherò di calendarizzare i mesi seguenti, nel limite del possibile, augurandomi che la sfilza di rogne sia finita. Le immagini che non posso realizzare per la sezione Astri, dal momento che il firmamento di Stellarium non “gira”, le prendo in prestito dal “Piccolo almanacco astronomico” per gentile concessione del suo autore.

Per concludere:
Stato attuale: cellulare morto a fine mese, connessione fino a fine maggio, spostamenti a piedi per decine di chilometri su e giù dal monte, autostop (sono ottimista). Un ritorno poco nostalgico agli anni ’70;
Prospettive: Ho avuto una dritta per una tipografia per la stampa dei libri, spero sia la volta buona;
Necessità: Grattare il fondo del barile della pazienza;
Risorse: La parola “arrendersi” non è prevista dal mio Sistema Operativo…

I Lupercali

Lupercali

Lupercali [immagine abbondante nel web senza crediti]

La festività dei Lupercali è stata soppressa nel momento in cui l’antico calendario romano, istituito da Romolo e revisionato da Numa Pompilio, fu ridisegnato prima da Giulio Cesare, nel calendario giuliano e, anche se la festa fu temporaneamente restaurata prima da Augusto e poi da Anastasio, fu infine definitivamente “occultata” dal calendario gregoriano ancora in vigore.

Giungiamo, quindi, alla più popolare festa dell’amore che venne istituita in onore del vescovo Valentino da Interamna (Interamna Nahars, Roma 176 – 273 d.C.) un paio di secoli dopo la sua morte (496 d.C.) quando il papa Celasio I decise di abolire la festività pagana della fertilità dedicata al dio Luperco (Lupercalia) per sostituirla, appunto, con il giorno di san Valentino.
I Lupercali erano consacrati a Fauno e venivano celebrati il 15 febbraio, cioè durante i «dies parentales», i giorni di onoranza dei defunti, dal 12 al 21 dello stesso mese, il cui nome, «Februarius», è connesso a «februum», «ciò che purifica», e a «Februus», «il Purificatore», cioè Dispater, il dio del mondo infero in aspetto di purificatore.

In questo periodo, allorché l’equilibrio fra il mondo umano e il mondo naturale si rompeva, Fauno diveniva selvaggio, si scatenava, anche in senso erotico. Nei Lupercali, festa che precedeva il rinnovamento primaverile, i Luperci correvano seminudi e sferzavano con cinghie in pelle di capra coloro che incontravano per purificarli, secondo il principio per cui ciò che ferisce può guarire. La «Purificata» della festa era Iuno, dèa abbigliata in pelli di capra, e il rito di purificazione rendeva feconde le donne. Il Luperco (lupo) rappresentava la purificazione, mentre la frusta (capra) rappresentava la procreazione.

La festa di Lupercalia prevedeva, oltre alla rappresentazione nel Lupercale, anche una simpatica lotteria a sfondo amoroso e sessuale: i nomi delle giovani vergini da fecondare e quelli dei giovani aspiranti “uomini-lupo” erano posti in bigliettini dentro due appositi contenitori; i due fanciulli battezzati con il latte durante il rito lupercale pescavano a turno un bigliettino formando così le coppie che avevano a disposizione un intero anno, fino alla nuova celebrazione, per provvedere alla fertilità di tutta la comunità, con la benedizione di Marte, Romolo, Pan, Fauno Luperco e delle “Grandi Madri” romane – Ruma, Rea Silvia, Fauna, Acca Laurentia – incarnatesi nel modello mitico universale noto come “La lupa”.
Pan

 Pan copula con una capra. Foto Marie-Lan Nguyen [crediti]

Questa antica festa evoca dunque anche l’ombra di Pan, il dio del Panico, figura dionisiaca collegata alla dimensione selvaggia e incontrollabile della natura (ma anche protettore dei pastori e delle selve) che incarna un’ideale di vita primitiva e comunitaria in simbiosi con l’energia panica della natura. Raffigurato con le sembianze di uomo-capra o uomo-lupo trascorre rapido le distanze, salta sulle rocce, si nasconde nei boschi per assalire le ninfe e possederle, esprimendo la sfrenata libertà di una vita senza leggi tutta immersa nel godimento.

Plutarco riferisce che nel giorno dei Lupercalia la festa partiva con l’iniziazione di due nuovi luperci, col classico rituale del coltello insanguinato posto sulla fronte dei giovani (sangue delle capre sacrificate, poi pulito con lana intrisa di latte).

Secondo il filologo francese Georges Dumézil, i Luperci rappresentavano gli spiriti divini della natura selvaggia subordinati a Fauno. Nel giorno dei Lupercalia, infatti, l’ordine umano regolato dalle leggi, si interrompeva e nella comunità faceva irruzione il caos delle origini, che normalmente risiede nelle selve.

Confrontando le simbologie rituali sopra descritte con quelle celtiche relative alla festività di Imbloc, non si possono non notare alcune coincidenze. Il periodo, febbraio, che anche se nelle diverse tradizioni differiscono i giorni, probabilmente coincidevano nelle varie epoche con il plenilunio o il novilunio. L’intento della purificazione, il sangue (simbolo mestruale?), il latte e gli armenti, simboli indiscussi della fertilità che si vuole evocare. Non è difficile che le origini di entrambe le tradizioni
siano più antiche, comuni e probabilmente legate al culto agreste più arcaico della Dea Madre.
Tratto da :
Oramala, cronache dal contado – N° 3 – Febbraio 2010
Fonti testuali: Qui

Tre parole per il 2019

Olimpo, paesaggio

Anche quest’anno accolgo l’invito di Penna Blu a trovare “tre parole guida per il nuovo anno”.
In realtà non le ho scelte io, mi hanno scelta loro perché non può essere altrimenti.

La prima è Resistenza:

Per questa parola prendo in prestito le parole di Piero Caleffi.
“Resistenza, sì, una resistenza, una forza individuale, e per quel che si poteva, collettiva… resistenza a noi stessi, resistenza morale che consentiva talora anche la resistenza fisica”.
La prendo in prestito per me stessa, per chi come Fleba il fenicio è sopraffatto dalle onde, per chi a un cielo di stelle preferirebbe un tetto sulla testa, per chi vorrebbe non dover frugare fra gli avanzi dei mercati, per chi spera il futuro guardandolo in controluce nel buio di un’esistenza lacrimosa.
La prendo in prestito e la faccio mia trovandola, insperata, nel corpo fisico e nella volontà di non arrendersi.

E di conseguenza Resilienza:

Fatto salvo il corpo, circa, il resto tocca alla mente e non farsi sopraffare dagli eventi. Forse la Resilienza è solo cocciutaggine, la volontà ferrea di non arrendersi nonostante tutto e tutti. Rifarsi daccapo mille e mille volte. Come la casetta in Canadà incendiata da Bingo Bango, come la tela di Penelope, che almeno aveva la consolazione di una distruzione volontaria. Daccapo? Sì, daccapo.

Allora diventa Perseveranza:

Percorrere il proprio sentiero, secondo la propria indole, senza chiudersi alle scoperte e alle novità, ma senza lasciarsi distrarre dalla strada intrapresa. Tutto funzionale a uno scopo che è qualcosa di più di un sogno, e perseguirlo pensando che il tempo sia infinito. Riempire un vuoto, materiale e immateriale. È lì che voglio andare, proprio lì e non da un’altra parte. Quella è la mia meta, lo è sempre stata e lo sarà fino alla fine dei miei giorni.

Sull’Olimpo.

I giorni della merla

Ghiaccio della Merla

C’è una leggenda che riguarda gli ultimi tre giorni di gennaio, considerati i più freddi dell’anno, la racconto a voi così, come le mie ave la raccontarono a me.

A quei tempi i merli erano bianchi, per meglio mimetizzarsi con la neve d’inverno, come a volte se ne vedono ancora.
Erano molto belli e giustamente fieri del loro piumaggio candido che luceva al sole.
Come oggi, costruivano i nidi tra le siepi o nei giardini, vicino agli umani, dove trovavano tra stalle e stagni, campi e orti, abbondanza di insetti d’estate e avanzi di frutta e bacche d’inverno. In cambio donavano il canto melodioso che li contraddistingue anche se, a volte, voleva dire finire in gabbia.
Quell’anno però il freddo fu talmente freddo che anche il ghiaccio tremava.
Ai polli gelavano le creste e si rifugiarono nelle stalle insieme ai conigli a cui gelavano naso e orecchie, ospitati dai pazienti bovini che gradirono un po’ di compagnia.
Il gatto fece tregua coi sorci e condivisero il canto del focolare.
Persino le siepi erano pietrificate da fiori di ghiaccio e la paglia nel fienile talmente indurita da non potervi fare un buco.
I poveri merli invece non riuscivano a trovare riparo dal gelo.
Il buio avanzava, piegato anch’esso sotto il peso del ghiaccio. Se non trovavano un riparo alla svelta non avrebbero visto la luce del giorno.
Stavano per cedere alla disperazione quando, vedendo il fumo uscire dal grande camino di pietra, al merlo venne un’idea.
-Ripariamoci lì dentro, dove esce un po’ di calore, domani, quando uscirà il sole cercheremo un altro riparo.
Così fecero.
Il merlo, più spavaldo, riuscì a infilarsi dentro il camino in un anfratto della pietra calda. La merla, più timorosa, come tutte le merle, si accoccolò sotto il torrino del comignolo, anche se stava un po’ scomoda, sperando che il nuovo giorno sciogliesse gelo e paura.
Ma il giorno arrivò e il gelo non si scioglieva.
E poi arrivò un altro giorno, e persino il canto gelava nelle gole.
Di giorni ne passarono tre e, quando ormai disperavano di salvarsi, finalmente il sole fece capolino dietro le nubi assiderate.
Spinti dalla fame si decisero allora ad uscire da quel riparo improvvisato, ma non erano più gli stessi.
Il merlo era tutto nero dalla fuliggine che saliva dal camino, e la merla affumicata, con la livrea picchiettata dalle faville che le avevano bruciacciato le penne.
Da allora i merli sono rimasti così, per ricordarsi, e per ricordare a tutti noi, che gli ultimi tre giorni di gennaio sono i più gelidi.

Da allora quei giorni, in onore del loro patire, vengon chiamati “i giorni della merla”.

Tiade 31 gennaio 2018

Tardissimo

Neve  novembre 2018Avolte mi sembra di essere il bianconiglio di Alice: –Sono in ritardo! In arciritardissimo!
Spero di riuscire a finire il libro per Natale, ma manca la copertina.
Devo creare l’immagine, che sembra facile. L’ho in testa, ma quando mi metto a disegnarla non mi piace. O meglio, mi piace l’idea, è coerente col testo, ma sono maledettamente pignola. Ne avrò già fatte dieci versioni e mentre la faccio sono convinta, poi la guardo e la mia indole insicura le scarta tutte.
Ma tu butta lì, sei lenta. Era meglio la primaaaa!
Sì Delfo, sarò lenta ma l’immagine è importante.
Non parliamo poi delle font. Per il testo non ho problemi, ho scelto un carattere classico, il Baskervald, ma la copertina ha esigenze diverse come la leggibilità a distanza e non esser troppo arzigogolata.
Resta poi da contattare la stamperia che deve darmi le dimensioni della costola e chissà quanto tempo perderò ancora.
Poi ci sono i quadri, per ora non grandi, la mia macchina fotografica non permette grandi dimensioni, come vorrei. Dovrei mettere una signora macchina fotografica nella letterina per Babbo Natale, se solo credessi a Babbo Natale.
Vogliamo poi prendere in considerazione la quotidianità?
Mangiare quando si è sul punto di svenire forse non è il massimo. Dormire sulla panca un paio d’ore, quattro al massimo, forse non è proprio salutare. Lasciamo perdere i piatti da lavare, si mangia nel pentolino. Le lavatrici? Ho svuotato l’armadio e riempito la lavanderia.
Unico motore il caffè. Tra me e Delfo, nelle notti insonni, ne scorre a litri, e non esagero. Caffettiere da sei a iosa.
Si farà il bucato, si mangerà come si deve, ma adesso c’è un lavoro da finire e cascasse il mondo ci riuscirò.
Le critiche, che spero arrivino, mi permetteranno di migliorare, di aggiustare ciò che non va, poi.
Parole inutili se non finisco, indi, mi rimetto al lavoro sperando di non fare una ciofeca.
Ora ci sta un caffè. Prossima notte in bianco.

Nell’attesa, godetevi l’immagine della nevicata del 28 novembre del 2008. Quest’anno ancora non si è vista, la bramo e la temo.
Se arriva sono nei guai. A presto.