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Statue distrutte e Diritti

La grotta delle mani - Santa Cruz
La grotta delle mani – attribuzione Marianocecowski – licenza https://commons.wikimedia.org/wiki/File:SantaCruz-CuevaManos-P2210651b.jpg

Basta digitare in un motore di ricerca le parole “statue” e “distruzione” per trovare quasi nove milioni di risultati. Persino chi non legge giornali, solo frequentando i social, sa cosa sta succedendo nel mondo ai monumenti dei più svariati personaggi storici. Statue abbattute, imbrattate e rimosse.

È una rabbia crescente che trova sfogo nella distruzione delle immagini che rappresentano soggetti le cui azioni, viste con gli occhi di oggi, non sono giustificabili. Rabbia innescata da comportamenti delle forze dell’ordine, generalizzati un po’ in tutto il mondo, che tendono ad una violenza cieca che si traduce in una pena di morte non sancita ma praticata.
E non è solo questione di razzismo.
Si va dalla tecnica del placcaggio con soffocamento, alla revolverata alla schiena di chi fugge disarmato, dalla Diaz a Stefano Cucchi. È repressione violenta, degna dei più beceri regimi fascisti, verso ogni forma di protesta che si ribelli a ogni sorta di discriminazione o ingiustizia sociale, singola o organizzata che sia.

Perché distruggere le statue?

Il tentativo è quello di censurare personaggi discutibili della storia insieme alle loro azioni. Ma la storia si guarda con gli occhi del presente, quando il metro di misura delle consuetudini sociali non è più lo stesso.

Una lucida disamina in tal senso, a cui nulla potrei aggiungere, è proposta sul canale YouTube “Heikudo e la biblioteca di Alessandria”, nella “pillola di storia 385”, dove è posto l’accento sul ,rischio oscurantista che si corre cancellando, insieme ai simboli, parte della storia.
Un invito a contribuire alla discussione con i commenti a cui l’autore risponde in un video successivo integrando l’argomento. Ne consiglio vivamente l’ascolto.

Invito alla riflessione

Nella Grecia e nella Roma antiche era usuale la pratica della pederastia praticata anche dagli imperatori.
Gli antichi egizi era incestuosi oltre che schiavisti.
I popoli primitivi praticavano il cannibalismo.

Se gli esempi del passato ci fanno paura e intendiamo sfogare sulla loro iconografia la nostra rabbia, non si corre il rischio, distruggendo tutto, di distruggere anche la memoria storica dei cattivi esempi insieme all’arte che hanno creato?
Prendiamo per esempio le pitture rupestri di decine di migliaia di anni fa che riproducono stampi di mani. Popoli probabilmente rozzi e violenti, con l’abitudine di cibarsi dei propri simili, ma dotati di pensiero astratto, un segno dell’evoluzione della mente. Le vogliamo distruggere?
Quelle impronte sono la firma dell’autore e insieme alla testimonianza delle origini del genere umano distruggeremmo l’autore stesso.

Diritti rivendicati e Diritti dimenticati

Ogni statua, ogni quadro, ogni film censurato, ogni opera, non simboleggia solo ciò che rappresenta, ma anche l’autore che l’ha prodotta.

Giusto per esempio, il monumento a Indro Montanelli, collocato nei giardini pubblici di Milano, è un’opera in bronzo dorato dello scultore Vito Tongiani. La statua di bronzo raffigurante Cristoforo Colombo in Minnesota è stata realizzata dagli scultori Carlo Brioschi e Leo Lentelli.
La distruzione è praticata per rivendicare dei sacrosanti diritti. Ma non ci si rende conto che in quel modo se ne viola un altro. Il Diritto d’autore.
“Poca cosa”, potrà pensare qualcuno, come se i diritti avessero un punteggio rispetto all’importanza.
Ma non è affatto poca cosa se si guarda il prisma da un’altra angolazione.
Nessuno ha il diritto di violare i diritti altrui per rivendicare il proprio.
Questo deve essere un principio cardine o è barbarie da far west.

Diritto d’autore, Diritto morale

La legge sul Diritto d’autore non è nata per regolamentare il commercio di meri oggetti ma per difendere il pensiero dell’artista, e non c’è niente di più intimo del pensiero. È un principio donatoci dagli illuministi francesi, che vollero discostarsi dalla normativa britannica, per sancire la proprietà intellettuale come diritto morale dell’individuo.

Il Diritto d’autore è così strettamente legato alla persona, talmente parte della stessa, da rientrare tra i diritti inviolabili (Dichiarazione universale dei Diritti umani, art 27, comma 2), di conseguenza, nessuno può esserne privato, tanto che è irrinunciabile dallo stesso autore.
Distruggere un’Opera dell’ingegno creativo è un delitto non contro ciò che rappresenta, ma contro la persona/autore, talmente grave da esser contemplato anche dal codice penale.

Le giuste ragioni e le azioni sbagliate

Ritengo la distruzione di qualsiasi Opera:
Anacronistica. Fuori contesto storico, come ben spiegato nel video di Heikudo
Irrazionale. Non si focalizza sul vero problema.
Controproducente. Il risultato danneggia i Diritti invece di affermarli. Non solo. Dà adito ad azioni di rappresaglia che nulla portano alla causa, anzi.

Con cieca furia distruttiva si rischia di perdere il focus della questione che non può che essere la politica, non quella passata, comunque da ricordare e analizzare, ma quella attuale.
La polizia reprime perché è armata dai politici di turno.
Le disparità sociali sono attuate da politiche antisociali varate dalla classe politica e avallate dall’indifferenza dei più.
Pochi straricchi che parassitano il mondo, inteso anche come Terra, campano sulle spalle della miseria umana.

Coscienza collettiva: è tutto da rifare?

Sento spesso dire che è preminente l’interesse collettivo rispetto a quello del singolo. Attenzione, perché questo rende sacrificabile l’Uno per il bene di tutti, che è lo stesso principio che anima i kamikaze giapponesi e i terroristi fanatici religiosi imbottiti di esplosivo.

Manca la percezione che è il Diritto di Uno, che finisce dove comincia quello altrui, che si trasforma nel Diritto della collettività umana, perché è l’insieme degli individui che crea una società così come l’insieme di ogni singola cellula forma un organismo. Una cellula impazzita che ne contagia altre crea un tumore.
Manca la coscienza su quali sono i Diritti Umani, manca l’insegnamento capillare degli stessi, manca la consapevolezza che “ogni diritto non rivendicato rischia di essere un diritto perso”, anche se non ti tocca in prima persona.
E questo deve valere anche per i politici.
Lì, e solo lì, a buon diritto, bisogna intervenire.

I santi di ghiaccio, una pandemia

Le tre Parche - Bernardo Strozzi
Le tre Parche – Bernardo Strozzi (Il Cappuccino) 1581-1644 – Immagine di pubblico dominio

Nella tradizione, che il clima pare non smentire, questi tre giorni di maggio (12,13 e 14) sono i giorni dei “santi di ghiaccio”.

Tre giorni in cui la primavera sembra ritirarsi per concedere l’ultimo saluto all’inverno morente. “Aprile non ti scoprire e maggio vai adagio”, diceva saggia la nonna mentre ti costringeva a metterti il golfino sapientemente lavorato “ai ferri”.

Ma il ghiaccio che ci permea è ben altro e non basterà un golfino.
È il ghiaccio dentro.

È negli animi chiusi all’altro, il nemico sociale, il nemico virulento, l’invasore, colui che ci ruba pane e lavoro.
È nel rigurgito lanciato contro colei che non è morta in prigionia e dall’alto dei suoi 20 anni riceve l’abbraccio di una madre che la credeva persa.

È nel terrore della solitudine che costringe ad ascoltar null’altro che la vacuità della propria mente.
È nell’odio fine a sé, a null’altro che a sé.
È nelle scarpe rosse in filari su una gradinata, vuote, come la vita che le ha smarrite.
È nella disperazione di un desco scarno che non vuole sventolare la bandiera della resa.
È nel silenzio assordante di un mondo deserto di gente.
È nei campi orfani di coscienza e in mani invisibili alla raccolta.
È nel frastuono delle bombe che non si ammalano mai.
È negli spazi lasciati da fiori assetati di vita, giovani germogli o querce antiche.

È in chi ha rubate le cesoie ad Atropo per scegliere il filo da recidere.
È nei diritti sospesi come il respiro di chi teme e di colui che lotta per non lasciarlo andare.
È nella Terra stritolata a cui abbiamo dato solo un attimo di riposo.
È nell’inconsapevolezza di chi pensa che tutto sarà come prima e non sa che ora è già dopo.

I santi di ghiaccio sono tra noi, tutti i giorni.

Raggelate le Muse tacciono mentre la Triste Signora miete i suoi campi.

Tiade

Primo Maggio in ritardo

Alba sul mareE che cavolo.

Avevo preparato un video per l’occasione.
Niente di sofisticato, ho solo scaricato Powerdirector sul mio Android e ho sperimentato un pochino.
Ma solo un pochino davvero ché quando ho uno strumento nuovo in mano mi prende la smania di fare subito.
Ma tra il dire e il fare c’è di mezzo l’incompetenza tecnica che ha prodotto un video troppo, veramente troppo pesante.
Pazienza. Era venuto veramente “carino”.
Vorrà dire che, anche se in ritardo, mentre ascolto il Concerto del Primo Maggio al cellulare di Delfo, lo posterò come articolo.

Primo Maggio e le partigiane negate

 

Partigiana impiccataLa storia delle donne è fatta di sopraffazioni, sottaciuta, negata, in tutti i campi, dalla scienza alla storia stessa. Vittime del patriarcato, di una scienza che le vedeva “inferiori” e del mondo ben pensante, è spesso difficile far emergere la loro storia.
Questo vale anche per le partigiane, di ieri e di oggi.
Di seguito alcuni stralci di articoli i cui link troverete in calce.

alla Liberazione quasi sempre fu impedito alle donne di sfilare con le armi, perché si riteneva che il mondo benpensante non avrebbe gradito
[La Resistenza dimenticata delle partigiane col fucile e dei civili disarmati – Paolo Marcolin – 17 gennaio 2020]

Alle donne partigiane piemontesi, nel dopo guerra, fu vietato loro di sfilare dopo la Liberazione
Tante le città in cui i capi brigata suggerirono alle donne di non sfilare oppure di farlo nel ruolo di crocerossina.
[Donne partigiane calabresi: la Resistenza ammutolita – Annamaria Gnisci – 24 aprile 2019]

Partigiane combattentiIl 6 maggio 1945 Tersilla Fenoglio non poté neppure partecipare alla grande sfilata delle forze della Resistenza a Torino. ‘Ma tu sei una donna!’, si sente rispondere da un compagno di lotta nell’estate del 1945 la partigiana Maria Rovano, quando chiede spiegazione dei gradi riconosciuti soltanto ad altri. Ed a Barge, il vicario riceve il brevetto partigiano prima di lei. E Nelia Benissone? Dopo aver organizzato assalti ai docks, addestrato gappisti e sappisti, lanciato bombe molotov contro convogli in partenza per la Germania, disarmato militari fascisti per la strada, anche da sola, e dopo essere stata nel 1945 responsabile militare del suo settore, non sarà forse riconosciuta dalla Commissione regionale come ‘soldato semplice?
[Storia delle donne partigiane: fu una resistenza taciuta – Stefania Maffeo]

le donne partigiane imbarazzano e destabilizzano anche coloro che, al loro fianco o con loro al proprio fianco, hanno combattuto per dar vita a qualcosa di radicalmente nuovo. È per questa ragione che, alla Liberazione, le donne sono escluse da molte delle sfilate partigiane nelle città liberate; in precedenza, non erano mancate, tra i compagni di lotta, le voci che criticavano la scelta femminile di abbandonare il focolare per impegnarsi nella guerra partigiana, che implica convivenza, promiscuità, assenza di controllo parentale. …
[Le donne nella Resistenza – 11 gennaio 2011 aggiornato il 16 giugno 2016]

Nel libro in cui raccoglie le sue memorie, Con cuore di donna, Carla Capponi, figura centrale della resistenza romana, vicecomandante dei Gap (Gruppi di azione patriottica), racconta per esempio che i suoi compagni non volevano concederle l’uso della pistola e per questo fu costretta a rubarla su un autobus affollato e anche in questo caso i compagni provarono a sottrargliela. …
[Il ruolo rimosso delle donne nella Resistenza – Annalisa Camilli – 25 Aprile 2019]

Venezia aprile 1945I numeri delle donne che hanno lottato per la Resistenza sono enormi. I dati provenienti dall’ANPI, l’Associazione Nazionale dei Partigiani Italiani, parla di 35.000 “partigiane combattenti”. Furono inoltre 20 mila le patriote con funzioni di supporto, 70 mila le donne appartenenti ai Gruppi di Difesa, 16 le medaglie d’oro e 17 le medaglie d’argento, 512 le commissarie di guerra. Ovviamente molte sono state le donne arrestate, circa 4.633, torturate e condannate dai tribunali fascisti e molte altre, 1.890, le deportate in Germania. …
[25 aprile: le donne partigiane combattenti furono 35mila – Annamaria Pazienza – 25 Aprile 2020]

altre furono considerate come “poco di buono” per aver trascorso molti mesi in compagnia di uomini
[Un fiore che non muore: La voce delle donne nella Resistenza italiana – Ilenia Rossini]

Nonostante il ruolo importantissimo che … ebbe nel conflitto, le venne vietato di partecipare alle sfilate che si ebbero dopo la Liberazione.
[Resisting Bodies: Narratives of Italian Partisan Women – Rosetta D’Angelo, Barbara Zaczek]

Monumento alla partigiana
Crediti: Monumento alla partigiana – Venezia, Riva dei Partigiani – foto di Jacqueline Poggi 26 febbraio 2015 – statua di Augusto Murer, 1961 – monumento di Carlo Scarpa, 1968 – (CC BY-NC-ND 2.0)

dopo la liberazione del 25 aprile del ‘45 alle donne venne vietata la sfilata in quanto non riconosciute come combattenti. Al contrario, come racconta Beppe Fenoglio nel suo libro “23 giorni della città di Alba” alcune donne sfilarono in pantaloni e non in gonna, (era questo sovente il loro abbigliamento durante la resistenza), tra i commenti maschilisti dei cittadini che assistevano alla sfilata e dicevano: “Ahi povera Italia!”
[Storie e testimonianze di donne e uomini partigiani – Alice Arduino – 29 gennaio 2017]

ricordo che anche il 25 aprile di 75 anni fa … Si decide che nella grande manifestazione di Milano sfileranno in prima fila gli uomini dei principali partiti. Togliatti dice: le donne no. Erano ragazze che avevano condiviso la montagna, considerate delle ‘poco di buono’. Le donne di Giustizia e Libertà decisero di sfilare lo stesso. Non in prima fila
[Resistenza, Lidia Menapace: Le donne della montagna considerate delle “poco di buono” – Cristina La Bella – 25 Aprile 2020]

Lucia Ottobrini … al momento di essere decorata con la medaglia d’argento al valor militare dall’allora ministro della difesa Taviani è la protagonista di una scena rivelatrice: “Stavo insieme a due ufficiali dell’Aviazione. Mi prese per la vedova di un combattente e mi disse gentilmente: “Lei signora di chi è la moglie?”, pensava fossi la vedova di un decorato. Gli feci: “La decorata sono io”. Il maschilismo affiora persino nella motivazione del decreto di conferimento della medaglia che quel giorno riceve: “Con coraggio virile non esitava a impugnare le armi battendosi più volte a fianco dei compagni in lotta”
[L’estate che imparammo a sparare: Storia partigiana della Costituzione – Giuseppe Filippetta]

Sicuramente molti altri esempi si potrebbero fare, ma credo che questi siano ben rappresentativi.

Pubblicità maschilista

Ovviamente i tempi erano diversi. Non si concepiva il ruolo della donna al di fuori di quello che si considerava per lei “naturale”. Famiglia, figli, cure domestiche e parentali. Regine della casa, di sani princìpi, in attesa dei loro prìncipi.
Con le lotte degli anni sessanta e settanta il nuovo diritto di famiglia ha ratificato il pieno Diritto delle donne ad essere persone non sottoposte a tutela maschile (con diritto di vita e di morte fino al 1981), per poter decidere di essere chi vogliono in maniera autonoma, cioè ad autodeterminarsi, ma, spesso, “cambiando l’ordine dei fattori il prodotto non cambia”.

Ogni quindici minuti una donna è vittima di violenza, e, di media, di omicidio ogni tre giorni, sempre per mano maschile. E non da estranei, ma da chi amano o hanno amato. Compagni o ex, fratelli, figli, conoscenti. Della serie “l’assassino ha le chiavi di casa. Non ho considerato il rapporto degli abusi psicologici e delle costrizioni.

In questo periodo parlare di lavoro è tema delicato, molto. Ma a proposito di cure parentali, proviamo a indovinare in caso di difficoltà chi deve rinunciare al proprio lavoro? Le donne, madri, infermiere, badanti, insegnanti. Il motivo è semplice. Nella coppia la scelta di chi deve mantenere la propria occupazione è dettata dal ritorno economico. A parità di mansioni il divario salariale, o “gender pay gap“, è di poco meno del 25%. Questo incide pesantemente sulla loro autosufficienza. Non va meglio per le pensioni. Non esiste più la “pensione sociale”, che stabiliva comunque un diritto minimo alla sopravvivenza (da fame) e la rinuncia al lavoro ha come conseguenza che o non hanno contributi versati o non ne hanno a sufficienza per una pensione contributiva minima. A meno che non integrino con contributi volontari. Mi chiedo, ma il lavoro che è stato loro precluso lo troveranno in età avanzata? Invece, con “soli” cinque anni di contributi possono andare in pensione a settantun anni. “Campa cavallo” che il campo è arido. Altrimenti possono chiedere l’assegno sociale. Povere tra i poveri.

È solo un piccolo spaccato di società al femminile che le nostre compagne partigiane non avrebbero immaginato. Sognavano un mondo migliore anche per loro, ma quel mondo pare sia ancora lontano.

Dimostrazione femminista 1914
02-Dimostrazione femminista a Parigi nel 1914_on_5_July_1914_-_Le_Figaro

E non venitemi a dire che “il femminismo è di parte”. Sarebbe come dire che le lotte dei neri, degli schiavi, contro la guerra, le lotte di Liberazione dei popoli lo sono.

Il femminismo non è l’antitesi del maschilismo. Il femminismo è un movimento di liberazione.
Mentre il maschilismo si identifica in ciò contro cui le donne si battevano, patriarcato, militarismo, sessismo, omofobia, che sono tutte facce di una medaglia che ha da sempre considerato la donna, e chi non rientrava nei “canoni”, come “subordinata”, vincolata dalla sua stessa “natura”. Sposa, madre, regina della casa. Le disparità sociali che ancora esistono sono un retaggio duro a morire.
In realtà sarebbe più esatto parlare di femminismi, che si distinguono nelle varie epoche storiche e nelle varie tendenze politiche, ma nella sostanza, le rivendicazioni vertono al riconoscimento come persona autonoma, libera di decidere della propria pancia e della propria vocazione. Le donne rivendicano un trattamento paritario, nel rispetto delle loro differenze e delle loro scelte. Femminismo è plurale.

Manifestazione femminista 1977

 

 

Mi è capitato di leggere l’assurda pretesa delle donne di destra, estrema, di dichiararsi “femministe di destra”, oppure ribattezzare il movimento “questione femminile”. Questo cozza con l’origine del femminismo stesso.
Rivendicano il ruolo “naturale” della donna tutta dio, patria e famiglia, che è poi quello che il femminismo combatteva. Alla “pubblica morale” si opponeva la libertà sessuale (io sono mia e decido io, aborto compreso), alla famiglia tradizionale (con un padre padrone) l’autodeterminazione, al patriottismo (in simbiosi con il militarismo) l’internazionalismo del movimento stesso.
No, mi dispiace, chiamatevi come vi pare ma femministe NO.

Le partigiane erano femministe di fatto, non certo quelle che sostenevano il regime nazifascista che erano esse stesse il nemico. Non lo erano allora e non lo sono oggi.
Oggi le partigiane sono le donne curde, sono le donne che combattono contro i sistemi oppressivi, con o senza armi se non la loro consapevolezza, sono le donne come Franca Viola, come Ilaria Cucchi, come le donne di “non una di meno”, come le donne che si battono contro l’omofobia, sono le donne che si battono per la parità salariale, sono quelle che lottano per un posto di lavoro dignitoso, sono quelle che muoiono sfiancate dal lavoro, sono le donne che, anche da sole, combattono contro una società che le vorrebbe arretrare in ruoli in cui stanno strette, sono le donne Resistenti.

Buon Primo Maggio e buona Resistenza.

Tiade

Ci Sto…

Parco Lambro da Liberazione70-7Sto scorrendo il fascicolo di Liberazione, Settanta, il numero sette. Millenovecentosettantasei.

Quanti ricordi! Non necessariamente belli. Ma ricchi sì. Molto ricchi.
Una foto. La manifestazione, i pantaloni scampanati, i maglioni alla norvegese.
Io non c’ero che qualche volta.

Un’altra immagine, e un’altra.
Gli operai di una fabbrica alla fine del turno, appena aperti i cancelli. Vanno che paion ragazzi all’uscita dalla scuola. Di corsa, spingendosi, con foga. Fuori da lì, alla svelta!
Io non c’ero, non sempre almeno.
Le donne con i cartelli e i figli sul braccio.
Io non c’ero quasi mai.
E il festival proletario al parco Lambro. Contro il capitale tutti nudi a danzare. E i capelli lunghi giù per le schiene, fino alle natiche sfacciate. Tutti.
Com’erano belli!
Io non c’ero, cavoli.

Era più facile trovarmi di notte, in quei sotterranei che Re Nudo invitava a disertare. Con la musica.
Meno bombe e bella gente, o quasi.
Brera.

Bastava scendere in una bettola con una chitarra e metter sul tavolo qualche gotto in più. E allora arrivavano.
Il vecchio professore d’arte con i suoi quadri, scene di caccia ed occhi sul vino.
O la Cocotte di un tempo, di cui ancora si indovinavano i lineamenti fra le guance cadenti. Uscita dalla macchina del tempo con il suo cappello dalla lunghissima piuma di struzzo. E trucco, e guanti di pizzo, e trine. Tutta in nero. Bocca Rosso ti brucio. E il canto in falsetto. Intorno a lei rivedevi la scena. Era una magia.
La notte, lo spazzino, il tranviere bloccato dal ghiaccio, l’ubriaco di cui da lontano spiavi i pensieri.
L’ultima immagine. Quella su cui il pensiero ha offuscato i ricordi.manifestazione d'ora in poi decido io
Altre donne coi cartelli ritagliati nelle lettere, ché il vento non li porti via.
D’ora in poi decido io.

Io non c’ero. Non potevo esserci. Avevo già deciso, e il mio primo bambino arrivava.

Non facevo politica?
Forse…
Ora, qui, col secondo bambino, osserviamo le immagini con sentimenti diversi.
Riscoperte.
Gli ho chiesto di osservare bene l’ultima foto, di dirmi cosa gli faceva venire in mente.
E di pensare bene prima di dar fiato alle trombe.
……………………………………………………
-L’aborto, il divorzio, il lavoro …”- Bla, bla, bla.
Eh no. Troppo facile. Quando mai ti ho reso facile la vita?
Vuol dire proprio quello che c’è scritto.
D’ora in poi decido io, perché io sono mia, aggiungerei.
Sorridi? Pensi sia uno slogan? Certo! Le donne sono abituate a destreggiarsi con gli slogan, la pentola sul fuoco, il bimbo in collo, il gatto alla salsiccia, la lavatrice che perde, il marito nel… Lasciamo pietosamente perdere dove.
Tutte cose che lasciano la voglia, e il tempo, di scendere in piazza coi figli in braccio a camminar per ore. Un po’ di palestra è tutta salute! Qualcosa sui cartelli da scrivere si trova sempre.

Io non c’ero nemmeno lì. Avevo le treccine e un bambino meraviglioso. Ero mia. Ma forse ancora non lo sapevo.

Ma cosa vuol dire esser di sé stessi?
Vuol proprio dire non appartenere a nessun altro.
-È bello appartenere a qualcuno, è romantico!- Davvero?
Appartenere ad un padre. -A una famiglia- No, no. Proprio al padre. Proprietà indiscussa. Oggetto nelle sue esclusive mani. Patria potestà la chiamavano. Potere di vita e di morte. Codice alla mano. Con le attenuanti di legge per il delitto d’onore per esser stati disonorati dalla figlia. Mica ci voleva tanto. Bastava restare incinte.
Se ti andava meglio venivi buttata fuori casa, diseredata, disconosciuta.
Se tutto filava liscio fino ad età da marito potevano sorgere altri problemi. Esser in età da marito voleva dire che la proprietà passava di mano. La dote era il pagamento del padre al marito per pigliarsi in carico una donna da sfamare. Se andava bene le spettava il corredo, la biancheria era l’unica cosa di sua esclusiva proprietà, forse. Se aveva dei beni, il patrimonio privato del marito si allargava. Ma per il bene della famiglia…
I rapporti sessuali? Dovere coniugale! Le botte? Diritto di correzione! (ius corrigendi). E zitta!
E se scappava? Abbandono del tetto coniugale, perdita del diritto di abitazione nella casa coniugale, e quasi sempre perdita dei figli come madre indegna.
-E se si rifaceva una vita?-(1) Ricordiamoci che il divorzio ancora non c’era. Bastava una denuncia anonima per pubblico scandalo, che si appellava alla pubblica decenza, ed arrivava la buoncostume, ed arrestava la pubblica meretrice e adultera che offendeva la pubblica morale e l’onore del marito.

Figli, casa, corredo, tutto sparito. Non era mica roba sua.
Era lei che apparteneva a loro.

Era un oggetto in funzione e alla mercé, era soggetta a potestà. Non era una persona, loro potevano legalmente disporre di lei.
Com’era romantico!
-D’ora in poi decido io”- voleva dire proprio quello. -Io non sono un oggetto, e nemmeno una bestia, io voglio e devo essere una Persona. Solo se vi imporrò di riconoscermi come persona sarò portatrice di diritto-.
Diritto di determinare la propria vita.
La prima che riuscì, non che provò, a ribellarsi, fu una ragazza siciliana, Franca Viola(2). Compromessa dalla fuitina avrebbe dovuto sposare il suo rapitore per salvare l’onore, e il suo rapitore che sarebbe rimasto impunito ricorrendo al matrimonio riparatore.
No, non era proprio uno slogan scritto per passatempo.
Era un urlo in coro.
Fu quell’urlo che cambiò le cose.
Più potente delle trombe di Gerico, buttò giù un muro durato millenni per loro. La schiavitù. Almeno sulla carta.
Io dov’ero? A far da apripista nella vita. Ad auto determinarmi e, come loro, sulla mia pelle.
Il Diritto di famiglia, così come oggi lo conoscete, arriva da lì. Da quelle caviglie dolenti, da quelle schiene martoriate, dagli occhi lacrimanti di fumogeni e di vita.

Tutto il resto è conseguenza. Divorzio, aborto, lavoro, studio…
Sono gli oggetti che appartengono, si lasciano usare, non sono vivi e quindi non hanno diritti.

manifestazione femminista 1976Ecco perché è importante che sappiate, figli miei, che le vostre amiche sappiano, che voi, giovani uomini, capiate.
Non è abbastanza.
Non è abbastanza dentro le teste se una delle prime cause di morte delle donne sono le violenze domestiche.
Non sarà mai abbastanza fin quando si prendono decisioni per il pubblico interesse, o la pubblica morale, o ancora, per la difesa della famiglia, cancellando la memoria storica.

E io ci sono.
Ci son sempre stata.

Ora, sarà meglio che riflettiate bene prima di decidere se starci dentro pure voi.

Tiade, marzo 2010

Note:

  1. Per il codice penale del 1930 la donna adultera era punita con la reclusione sino ad un anno. Ai fini del reato era sufficiente anche un unico episodio fedifrago. La violazione della fedeltà coniugale compiuta dal marito, invece, per essere punita, doveva assurgere a concubinato, cioè a relazione stabile con un’altra donna. [Fonte: https://castelvetranonews.it/notizie/?r=a1i]
  2. Le cose cambiarono grazie al coraggio di Franca Viola: Violentata e quindi segregata per otto giorni in un casolare al di fuori del paese, fu liberata con un blitz dei carabinieri il 2 gennaio 1966. Secondo la morale del tempo avrebbe dovuto necessariamente sposare il suo rapitore, salvando l’onore suo e quello familiare. Questa morale era supportata dalla legislazione italiana che, all’articolo 544 del codice penale, ammetteva il “matrimonio riparatore”, considerando la violenza sessuale come un oltraggio alla morale e non alla persona.
    Secondo questo articolo del codice, l’accusato di delitti di violenza carnale, anche nei confronti di minorenne, avrebbe avuto estinto il reato nel caso avesse successivamente contratto matrimonio con la persona offesa. Contrariamente alle consuetudini del tempo, Franca Viola non accettò il matrimonio riparatore. Suo padre, contattato da emissari durante il rapimento, fingerà di acconsentire alle nozze, preparando con i carabinieri di Alcamo una trappola. Quando il rapitore rientrò in paese, con i suoi amici e la giovane, i responsabili dell’azione furono tutti arrestati dai carabinieri.
    Il caso sollevò in Italia forti e alte polemiche divenendo oggetto di numerose interpellanze parlamentari.
    Con il Nuovo Diritto di Famiglia, il 19 maggio 1975 n° 151 sancirà, fra le altre cose, l’uguaglianza fra coniugi, abolendo per le donne lo stato di soggetta a potestà. In luogo della patria potestà nacque la potestà genitoriale che vedeva condivisa la responsabilità della prole. Il marito non era più capo famiglia.La donna divenne soggetto.
    Finalmente, nel 1981, il 5 agosto, il famigerato articolo 544 venne abrogato dall’art. 1 della legge 442. Non è più possibile cancellare una violenza sessuale tramite matrimonio riparatore. Questa legge abrogava anche le attenuanti per il delitto d’onore, previsto dall’art. 587, che prevedeva sconti di pena per “Chiunque cagiona la morte del coniuge [leggi “ammazza la moglie”, ndr], della figlia o della sorella [e non del figlio o del fratello, ndr], nell’atto in cui ne scopre la illegittima relazione carnale e nello stato d’ira determinato dall’offesa recata all’onor suo o della famiglia“.
    [Fonti: http://it.wikipedia.org/wiki/Franca_Viola; http://it.wikipedia.org/wiki/Delitto_d’onore]

Immagini da: Liberazione70_n7_1976