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Statue distrutte e Diritti

La grotta delle mani - Santa Cruz
La grotta delle mani – attribuzione Marianocecowski – licenza https://commons.wikimedia.org/wiki/File:SantaCruz-CuevaManos-P2210651b.jpg

Basta digitare in un motore di ricerca le parole “statue” e “distruzione” per trovare quasi nove milioni di risultati. Persino chi non legge giornali, solo frequentando i social, sa cosa sta succedendo nel mondo ai monumenti dei più svariati personaggi storici. Statue abbattute, imbrattate e rimosse.

È una rabbia crescente che trova sfogo nella distruzione delle immagini che rappresentano soggetti le cui azioni, viste con gli occhi di oggi, non sono giustificabili. Rabbia innescata da comportamenti delle forze dell’ordine, generalizzati un po’ in tutto il mondo, che tendono ad una violenza cieca che si traduce in una pena di morte non sancita ma praticata.
E non è solo questione di razzismo.
Si va dalla tecnica del placcaggio con soffocamento, alla revolverata alla schiena di chi fugge disarmato, dalla Diaz a Stefano Cucchi. È repressione violenta, degna dei più beceri regimi fascisti, verso ogni forma di protesta che si ribelli a ogni sorta di discriminazione o ingiustizia sociale, singola o organizzata che sia.

Perché distruggere le statue?

Il tentativo è quello di censurare personaggi discutibili della storia insieme alle loro azioni. Ma la storia si guarda con gli occhi del presente, quando il metro di misura delle consuetudini sociali non è più lo stesso.

Una lucida disamina in tal senso, a cui nulla potrei aggiungere, è proposta sul canale YouTube “Heikudo e la biblioteca di Alessandria”, nella “pillola di storia 385”, dove è posto l’accento sul ,rischio oscurantista che si corre cancellando, insieme ai simboli, parte della storia.
Un invito a contribuire alla discussione con i commenti a cui l’autore risponde in un video successivo integrando l’argomento. Ne consiglio vivamente l’ascolto.

Invito alla riflessione

Nella Grecia e nella Roma antiche era usuale la pratica della pederastia praticata anche dagli imperatori.
Gli antichi egizi era incestuosi oltre che schiavisti.
I popoli primitivi praticavano il cannibalismo.

Se gli esempi del passato ci fanno paura e intendiamo sfogare sulla loro iconografia la nostra rabbia, non si corre il rischio, distruggendo tutto, di distruggere anche la memoria storica dei cattivi esempi insieme all’arte che hanno creato?
Prendiamo per esempio le pitture rupestri di decine di migliaia di anni fa che riproducono stampi di mani. Popoli probabilmente rozzi e violenti, con l’abitudine di cibarsi dei propri simili, ma dotati di pensiero astratto, un segno dell’evoluzione della mente. Le vogliamo distruggere?
Quelle impronte sono la firma dell’autore e insieme alla testimonianza delle origini del genere umano distruggeremmo l’autore stesso.

Diritti rivendicati e Diritti dimenticati

Ogni statua, ogni quadro, ogni film censurato, ogni opera, non simboleggia solo ciò che rappresenta, ma anche l’autore che l’ha prodotta.

Giusto per esempio, il monumento a Indro Montanelli, collocato nei giardini pubblici di Milano, è un’opera in bronzo dorato dello scultore Vito Tongiani. La statua di bronzo raffigurante Cristoforo Colombo in Minnesota è stata realizzata dagli scultori Carlo Brioschi e Leo Lentelli.
La distruzione è praticata per rivendicare dei sacrosanti diritti. Ma non ci si rende conto che in quel modo se ne viola un altro. Il Diritto d’autore.
“Poca cosa”, potrà pensare qualcuno, come se i diritti avessero un punteggio rispetto all’importanza.
Ma non è affatto poca cosa se si guarda il prisma da un’altra angolazione.
Nessuno ha il diritto di violare i diritti altrui per rivendicare il proprio.
Questo deve essere un principio cardine o è barbarie da far west.

Diritto d’autore, Diritto morale

La legge sul Diritto d’autore non è nata per regolamentare il commercio di meri oggetti ma per difendere il pensiero dell’artista, e non c’è niente di più intimo del pensiero. È un principio donatoci dagli illuministi francesi, che vollero discostarsi dalla normativa britannica, per sancire la proprietà intellettuale come diritto morale dell’individuo.

Il Diritto d’autore è così strettamente legato alla persona, talmente parte della stessa, da rientrare tra i diritti inviolabili (Dichiarazione universale dei Diritti umani, art 27, comma 2), di conseguenza, nessuno può esserne privato, tanto che è irrinunciabile dallo stesso autore.
Distruggere un’Opera dell’ingegno creativo è un delitto non contro ciò che rappresenta, ma contro la persona/autore, talmente grave da esser contemplato anche dal codice penale.

Le giuste ragioni e le azioni sbagliate

Ritengo la distruzione di qualsiasi Opera:
Anacronistica. Fuori contesto storico, come ben spiegato nel video di Heikudo
Irrazionale. Non si focalizza sul vero problema.
Controproducente. Il risultato danneggia i Diritti invece di affermarli. Non solo. Dà adito ad azioni di rappresaglia che nulla portano alla causa, anzi.

Con cieca furia distruttiva si rischia di perdere il focus della questione che non può che essere la politica, non quella passata, comunque da ricordare e analizzare, ma quella attuale.
La polizia reprime perché è armata dai politici di turno.
Le disparità sociali sono attuate da politiche antisociali varate dalla classe politica e avallate dall’indifferenza dei più.
Pochi straricchi che parassitano il mondo, inteso anche come Terra, campano sulle spalle della miseria umana.

Coscienza collettiva: è tutto da rifare?

Sento spesso dire che è preminente l’interesse collettivo rispetto a quello del singolo. Attenzione, perché questo rende sacrificabile l’Uno per il bene di tutti, che è lo stesso principio che anima i kamikaze giapponesi e i terroristi fanatici religiosi imbottiti di esplosivo.

Manca la percezione che è il Diritto di Uno, che finisce dove comincia quello altrui, che si trasforma nel Diritto della collettività umana, perché è l’insieme degli individui che crea una società così come l’insieme di ogni singola cellula forma un organismo. Una cellula impazzita che ne contagia altre crea un tumore.
Manca la coscienza su quali sono i Diritti Umani, manca l’insegnamento capillare degli stessi, manca la consapevolezza che “ogni diritto non rivendicato rischia di essere un diritto perso”, anche se non ti tocca in prima persona.
E questo deve valere anche per i politici.
Lì, e solo lì, a buon diritto, bisogna intervenire.

I santi di ghiaccio, una pandemia

Le tre Parche - Bernardo Strozzi
Le tre Parche – Bernardo Strozzi (Il Cappuccino) 1581-1644 – Immagine di pubblico dominio

Nella tradizione, che il clima pare non smentire, questi tre giorni di maggio (12,13 e 14) sono i giorni dei “santi di ghiaccio”.

Tre giorni in cui la primavera sembra ritirarsi per concedere l’ultimo saluto all’inverno morente. “Aprile non ti scoprire e maggio vai adagio”, diceva saggia la nonna mentre ti costringeva a metterti il golfino sapientemente lavorato “ai ferri”.

Ma il ghiaccio che ci permea è ben altro e non basterà un golfino.
È il ghiaccio dentro.

È negli animi chiusi all’altro, il nemico sociale, il nemico virulento, l’invasore, colui che ci ruba pane e lavoro.
È nel rigurgito lanciato contro colei che non è morta in prigionia e dall’alto dei suoi 20 anni riceve l’abbraccio di una madre che la credeva persa.

È nel terrore della solitudine che costringe ad ascoltar null’altro che la vacuità della propria mente.
È nell’odio fine a sé, a null’altro che a sé.
È nelle scarpe rosse in filari su una gradinata, vuote, come la vita che le ha smarrite.
È nella disperazione di un desco scarno che non vuole sventolare la bandiera della resa.
È nel silenzio assordante di un mondo deserto di gente.
È nei campi orfani di coscienza e in mani invisibili alla raccolta.
È nel frastuono delle bombe che non si ammalano mai.
È negli spazi lasciati da fiori assetati di vita, giovani germogli o querce antiche.

È in chi ha rubate le cesoie ad Atropo per scegliere il filo da recidere.
È nei diritti sospesi come il respiro di chi teme e di colui che lotta per non lasciarlo andare.
È nella Terra stritolata a cui abbiamo dato solo un attimo di riposo.
È nell’inconsapevolezza di chi pensa che tutto sarà come prima e non sa che ora è già dopo.

I santi di ghiaccio sono tra noi, tutti i giorni.

Raggelate le Muse tacciono mentre la Triste Signora miete i suoi campi.

Tiade

Liberazione e retorica

Partigiano impiccato25 aprile 2020 – 75° anniversario della Liberazione dal nazifascismo

SCRIVERNE O NO?
Aver qualcosa da dire

Stavo riflettendo se scriverne o meno un articolo . Ero molto indecisa perché mi dicevo “è già stato scritto tutto”. Pensavo di non aver niente da dire se non le solite frasi retoriche.

Intanto seguivo su la 7 “Propaganda live” e mi dicevo “quanto sono bravi, preparati, intelligenti, quante cose hanno da dire che io forse non saprei esprimere”.
Mentre io guardavo Propaganda Delfo, che seguiva “Piazzapulita”, mi ha passato un video di Stefano Massini dove racconta la storia di un partigiano, uno dei tanti massacrati di botte dai fascisti. Uno dei tanti che ha “toccato con mano”, o meglio, che “è stato toccato”.
Ma quello che mi ha colpito sono state le sue considerazioni, e sono state queste considerazioni che mi hanno convinta a scrivere perché anch’io ho qualcosa da dire, qualcosa da ricordare.

LA NON RETORICA
La storia è memoria

Massini ha citato un libro che anche io amo molto, anzi è stato quello, l’ultimo che ho regalato a mio padre, che ha fatto sì che non sia pi più riuscita a separarmi da un libro, anche i più banale: fahrenheit 451. Per chi non lo avesse letto, il libro racconta di una società in cui i libri vengono bruciati ed è reato possederli. Chi trasgredisce viene perseguitato da “pompieri” con i lanciafiamme.

Allora la Resistenza, ché dove c’è oppressione c’è sempre Resistenza, fa sì che le persone si trasformino in libri. Ogni persona è un libro che impara a memoria affinché possa essere tramandato ai posteri.
Accolgo l’esempio di Massini e lo faccio mio. Anche io voglio essere una donna-libro, perché, come mi insegna, non è retorica la memoria.

VITTIME E CARNEFICI
Distinzioni dovute

Forse nelle scuole non se ne parla più tanto o non se ne parla abbastanza, forse non è ben chiaro da cosa ci siamo liberati, e non solo noi, ma tutti i paesi che si sono rivoltati a un potere fatto di violenza e di sopraffazione, colpevole di avere trucidato milioni di persone nei modi più orribili. Il nazifascismo non era un’idea politica, ma bestialità allo stato puro.
Chi oggi si riconosce nel 25 aprile è erede di una strenua Resistenza che ha rifiutato l’orrore.
È questo il principio che andrebbe insegnato, che andrebbe ricordato a partire dalle scuole elementari, così come a noi è stato insegnato. Conservo ancora un libro che la Città di Milano ci consegnò in terza elementare, un libro ormai consunto che parla della Resistenza, che riporta date, storie e disegni. Un libro che andrebbe ristampato e distribuito e non solo a scuola.

LAGER E PRIGIONIERI POLITICI
Il martirio di un “No”

reichspfennigLa storia che voglio tramandare è quella di mio padre, internato nel campo di Trier, dove i prigionieri erano usati per spaccare pietre venendo poi “ricompensati” con una sorta di moneta interna (reichspfennig) che non avrebbero potuto spendere altrove. Dei piccoli foglietti di carta che riportavano, oltre al simbolo nazista, il triangolo rosso dei prigionieri politici.

Perché nei lager non finivano solo zingari, ebrei, minorati, omosessuali, ma anche chi si opponeva e coloro che si erano rifiutati di abbracciare un sistema partorito da menti che oggi verrebbero definite sociopatiche criminali, la cui unica divisa avrebbe dovuto essere la camicia di forza.
Quei “soldi” venivano scambiati con razioni di ciò che solo la fame riusciva definire pane. Un miscuglio di segatura ma tanto prezioso quanto l’attaccamento alla vita.

LA MEMORIA
L’empatia all’inferno

Da quel campo mio padre riportò un piccolo strumento forse banale agli occhi dei più, una piccola bilancia ricavata da pezzi di legno uniti da fil di ferro. E per quanto rudimentale è precisa, molto precisa.

Era, e rimane, un oggetto prezioso, una testimonianza storica che, non so come, è riuscito a salvare e che teneva in un bauletto di legno chiuso con un lucchetto cifrato.
Quella bilancia serviva a condividere il “pane” anche con chi non era in grado di procurarselo. Dividerlo in parti precise, uguali per tutti, anche ai moribondi.
Come riporto nel mio racconto precedente, “L’ultimo pezzo di pane”, Piero Caleffi narra una storia che io invece possiedo. Quella bilancia rappresenta la solidarietà, l’umanità che il nazismo, per quanto ci abbia provato, non è riuscito a piegare.
E questa non è certo retorica.

OGGI
Ci riprovano, occhio

Oggi stiamo combattendo contro un nemico invisibile, non certo paragonabile. Ma da tempo assistiamo, ovunque, ad un pericolo ben più grande. Il ripresentarsi di quelle idee che già sono state combattute e vinte. La tracotanza, il razzismo, la violenza verbale e fisica, sono tratti distintivi e ben riconoscibili in questi soggetti che negano la storia ma al contempo vorrebbero riviverla.

La nostra resistenza alla pandemia non deve farci dimenticare la Resistenza di cui siamo gli eredi. L’antifascismo è il motivo della nascita di questa Repubblica e la nostra Costituzione lo esprime chiaramente. Per questo motivo, chiedere di commemorare in questa data le vittime su entrambi i fronti non è proponibile. Chi vorrebbe cancellare questa ricorrenza è l’erede di quei carnefici e non possono essere, come molti vorrebbero, unificati nella memoria, perché vittime e carnefici non sono uguali.
La libertà di cui oggi godiamo, di criticare il governo, quale che sia, di pretendere il lavoro, di pretendere la sanità pubblica, di pretendere la scuola pubblica, di dibattere in pubblico, di sparare cazzate, di parlare come un fascista, che piaccia o no, la dobbiamo alla Resistenza, alla vittoria contro l’orrore. Non possiamo, non dobbiamo permettere che la storia si ripeta.
La storia e la memoria ci ricordano quali sono le conseguenze di certe idee che forse allora hanno trovato molti impreparati e stupiti.
Oggi, che sappiamo, l’ignavia non è scusabile!

Il mio saluto a chi avrebbe voluto festeggiare e subisce in qualche modo il periodo di pandemia, Buona Resistenza.
Per chi invece ha da obiettare, non riconoscendosi in questa ricorrenza, mi associo al saluto finale nel video di Stefano Massini.

Tiade

Era di Maggio…

Illustrazione Italiana 1898 - Sigaraie lasciano il lavoro Pubblico dominio - Luca Comerio (1878–1940)
Illustrazione Italiana 1898 – Sigaraie lasciano il lavoro
Pubblico dominio – Luca Comerio (1878–1940)

Per la festività del Primo Maggio volevo contribuire con un articolo, ma tanti saranno gli articoli più inerenti di storia e di rabbia per la festa dei lavoratori, e non del lavoro che non è un soggetto.

Ma di questi tempi il lavoro è scarso e quando si cantava “se otto ore vi sembran poche, provate voi a lavorar” non si pensava certo che si sarebbe ritornati a lavorarne anche quindici in condizioni che definirei disumane.
Qualsiasi cosa dica rischierebbe di avere il sapore della retorica, ho deciso così di contribuire a modo mio rispolverando un racconto breve, che fa parte di una serie dedicata alle donne sparse tra le epoche e la storia, che prende spunto dalla “Rivolta del pane” di Milano del 7 Maggio 1898 soffocata nel sangue dalle cannonate del generale Bava Beccaris.
La maggioranza dei rivoltosi: donne e ragazzi.

Storie al rogo
Era di Maggio

Era di Maggio, e fiorivan le rose.

Ma le sue mani non sentivano le spine.
Mani callose, ingiallite e tagliate dalla canapa.
Come una Parca intrecciava corde, mentre i fili della sua vita si scioglievano.
E il salario non bastava mai, non bastava per tutto, non bastava e basta.
Moira, detta Pincinella, ricordava ancora le parole di Anna, Anna con quel nome strano, straniero, ma che parlava una lingua che lei capiva.
Eccome se la capiva.
Ecco perché era lì. Perché aveva capito.

In piazza quella volta voleva esserci anche lei. Vedeva altre donne poco lontano, eran mondine, la tosse le tradiva, e più in là alcune tabaccaie con la pelle ingiallita.
Questo non è il giorno“, qualcuno disse . “E quand l’è ch’el vegnarà donca el dì?” chiese un operaio.

Per lei venne quel giorno stesso.
Era domenica e fiorivan le rose, e il fuoco la colse di sorpresa.
Il fuoco dei cannoni di Bava Beccaris respinse la folla, ma lei il sangue non lo vide mai.

C`è chi dice che solo la sua ombra, staccata dal corpo in un ultima magia, sia sopravvissuta al rogo e vaghi in cerca di una nuova Pincinella nei secoli a venire.
E c`è chi giura di averle parlato.

Tiade 18 maggio 2007

Il cielo di Aprile 2019

Cielo di aprile 2019
-1 aprile – Tradizioni

Pesce d’aprile
Giornata tradizionalmente dedicata agli scherzi le cui origini sono controverse. maggiori informazioni su Wikipedia.

-5 aprile – Luna Nuova

12 aprile – Luna Primo quarto

19 aprile – Luna Piena

21 aprile – Pasqua

22 aprile – Pasquetta

22/23 aprile – Liridi

Sciame meteorico Liridi

Nella notte tra il 22 ed il 23 Aprile avremo il picco dello sciame meteorico delle Liridi, uno sciame minore.. il numero di meteore che in teoria sono avvistabili in un’ora è intorno alle 15/20 meteore.
Sciame, di cui si hanno osservazioni storiche risalenti ad alcuni secoli a.C. per mano dei cinesi, originato dalla coda dalla cometa Thatcher (periodo orbitale di 415 anni).
Sciami minori: Ibridi, Pi Puppidi, Alpha Bootidi, Mu Virginidi.

27 – Luna Ultimo quarto

30 Aprile / 01 Maggio – Le feste della Ruota

Calendimaggio – Beltane (Valpurga)

Noi siamo acqua

Sorella Acqua - Pioggia

Laudato si’, mi’ Signore, per sor’aqua, la quale è multo utile et humile et pretiosa et casta. (Cantico delle creature – S. Francesco)

Il 22 Marzo si è celebrata la giornata mondiale dell’acqua.

Sul nostro pianeta l’acqua è presente nelle sue tre forme, liquida, solida e gassosa (a quanto pare cosa rara nell’universo).
La vita sulla Terra è iniziata nell’acqua. Noi nasciamo immersi nell’acqua.
Tutti gli organismi dipendono dall’acqua e ne contengono in quantità elevate.
Senza acqua non c’è vita e dalla qualità dell’acqua dipende la qualità della vita.

L’acqua è un potente solvente e, a seconda dell’età, il nostro corpo ne è composto dal 75 al 50 per cento. Essa rappresenta il veicolo di tutte le sostanze e di tutti gli elementi vitali nel nostro organismo. È la principale componente del corpo umano fin dalla più piccola cellula che, a sua volta, è composta principalmente di acqua.

L’uomo, durante la sua breve vita, ne beve circa 25.000 litri per il mantenimento delle sue funzioni biologiche e delle strutture organiche.
La carenza di questo elemento rallenta l’attività cellulare e causa seri danni agli organi. Se il contenuto d’acqua nella cellula scende al di sotto del 50 per cento i processi vitali si paralizzano, spesso anche in modo irreversibile. Il nostro corpo può resistere anche oltre un mese senza mangiare ma, dipendentemente da condizioni ambientali e fisiologiche, senza questo elemento, in capo al massimo a una settimana subirebbe danni tali che lo condurrebbero a una fine certa.

Oggi siamo consapevoli di quanta poca cura abbiamo avuto per questa risorsa che, insieme alla siccità data dal cambiamento del clima, è sempre più inquinata e sempre meno “casta” (pura). Nei mari esiste il problema delle micro e macro plastiche e anche le falde soffrono per l’infiltrazione di elementi chimici dati dalle attività umane riducendo considerevolmente le fonti disponibili.

Solo questi pochi dati dovrebbero farci riflettere sull’importanza di una risorsa vitale considerata merce che si tenta di privatizzare mentre oltre due milioni di persone al mondo soffrono la sete.
Un vero delitto contro l’Umanità.

le feste della ruota – Equinozio di Primavera – Primiera – Ostara

Tramonto di primavera

È uno dei sabba minori che si svolge durante l’equinozio di primavera e celebra il risveglio della Dea dal suo sonno invernale per congiungersi con il Dio che l’inverno ha dominato. Così come si incontrano il giorno e la notte, che che in questo giorno sono della stessa durata, gli dei si incontrano in una sorta di fidanzamento per risvegliare la natura sopita. Unione che trova il suo culmine il primo Maggio in uno dei sabba più importanti: Beltane o Calendimaggio.

In questo giorno di rinascita si praticano i riti di purificazione dei corpi con abluzioni rituali e profumi, degli ambienti, la benedizione delle candele che si useranno durante l’anno a simboleggiare il ritorno della luce e si colorano le uova per farne dono come augurio di prosperità.
L’uovo, un simbolo archetipo legato al femminile, è di grande valenza in moltissime culture fin dalla preistoria a partire dai culti della Grande Madre. È il grembo primordiale, la culla originaria, il veicolo, l’uovo filosofico, l’uovo alchemico, l’uovo cosmogonico.
Un articolo esaustivo e molto interessante sulla simbologia dell’uovo si può trovare QUI.

Come si può ben notare, ataviche tradizioni e simbologie percorrono i tempi e vengono inglobate in usi e costumi legati alla religione contemporanea. La rinascita, le benedizioni, le uova e le pulizie, per l’appunto di Pasqua.

Le date possono non coincidere oggi, ma sintomatica è la coincidenza del periodo che ruota comunque intorno all’equinozio.

E di una nuova alba, di rinascita, più che mai ha bisogno l’empatia della specie. L’essere umano è talmente immerso in un vortice egoistico che dimentica il suo bisogno di aggregazione. La solitudine uccide. Ha talmente rifiutato la propria empatia, vissuta come debolezza, da non riuscire più a sentire ciò che lega gli individui fra sé e al mondo che li ospita, il mondo fisico, la Terra. Casa e Madre, matrice di un rapporto inscindibile.
La Madre che stiamo violentando non ha bisogno di noi, ma se uccidiamo la Madre sarà solo un ignominioso tramonto.

Se qualcosa può andar storto…

Legge Di Murphy
È la legge di Murphy, non ne scappo.

Da un anno a questa parte arrivano a ruota.
Non bastava l’incidente a Delfo, per fortuna senza gravi conseguenze, che ha distrutto l’auto e ci ha lasciati a piedi, non bastava la sequela di esequie che hanno prosciugato il fondo cassa ritardando un intervento non ulteriormente procrastinabile, non bastavano i problemi con l’hosting che hanno fatto sparire il sito per un po’ e i continui messaggi di “Error establishing a database connection” che per pubblicare un articolo ci vogliono due giorni, ci voleva una ciliegina sulla torta: il mio stupendo portatile MSI ha deciso di spegnersi, definitivamente.
Ci è voluto un po’ per recuperare un vecchio scatolone asmatico di ben 2 Gb di memoria e una scheda grafica integrata (sic!), ma dotato di uno “stupendo” monitor Philips, quadrato, di ben 15 pollici di era antidiluviana. Indi, per la grafica dovrò ancora pazientare. In compenso sono riuscita a fargli vedere il mio hd, ma solo come secondario mentre la connessione wifi è utopica, funziona solo tramite usb. Non posso nemmeno aprire troppe finestre contemporaneamente e questo mi rallenta tantissimo. È d’uopo accontentarsi.

Non intendo rinunciare però a pubblicare gli articoli che avevo programmato per marzo, anche se in ritardo, anche se non tutti, sperando nella comprensione di chi ha ancora la pazienza di visitare il sito per vedere se esisto. Niente articolo sulla festa della donna, sulle origini del carnevale ambrosiano, sulla giornata del p-greco o quella della poesia o la giornata internazionale contro la violazione dei Diritti umani per la quale almeno un pensiero è d’obbligo.

Pubblicherò invece gli articoli sull’acqua, visto che il 22 marzo è stata la giornata mondiale dell’acqua e che sono articoli che avevo già pubblicato nel bollettino che redigevo per la mia azienda agricola.
Cercherò di calendarizzare i mesi seguenti, nel limite del possibile, augurandomi che la sfilza di rogne sia finita. Le immagini che non posso realizzare per la sezione Astri, dal momento che il firmamento di Stellarium non “gira”, le prendo in prestito dal “Piccolo almanacco astronomico” per gentile concessione del suo autore.

Per concludere:
Stato attuale: cellulare morto a fine mese, connessione fino a fine maggio, spostamenti a piedi per decine di chilometri su e giù dal monte, autostop (sono ottimista). Un ritorno poco nostalgico agli anni ’70;
Prospettive: Ho avuto una dritta per una tipografia per la stampa dei libri, spero sia la volta buona;
Necessità: Grattare il fondo del barile della pazienza;
Risorse: La parola “arrendersi” non è prevista dal mio Sistema Operativo…

I Lupercali

Lupercali

Lupercali [immagine abbondante nel web senza crediti]

La festività dei Lupercali è stata soppressa nel momento in cui l’antico calendario romano, istituito da Romolo e revisionato da Numa Pompilio, fu ridisegnato prima da Giulio Cesare, nel calendario giuliano e, anche se la festa fu temporaneamente restaurata prima da Augusto e poi da Anastasio, fu infine definitivamente “occultata” dal calendario gregoriano ancora in vigore.

Giungiamo, quindi, alla più popolare festa dell’amore che venne istituita in onore del vescovo Valentino da Interamna (Interamna Nahars, Roma 176 – 273 d.C.) un paio di secoli dopo la sua morte (496 d.C.) quando il papa Celasio I decise di abolire la festività pagana della fertilità dedicata al dio Luperco (Lupercalia) per sostituirla, appunto, con il giorno di san Valentino.
I Lupercali erano consacrati a Fauno e venivano celebrati il 15 febbraio, cioè durante i «dies parentales», i giorni di onoranza dei defunti, dal 12 al 21 dello stesso mese, il cui nome, «Februarius», è connesso a «februum», «ciò che purifica», e a «Februus», «il Purificatore», cioè Dispater, il dio del mondo infero in aspetto di purificatore.

In questo periodo, allorché l’equilibrio fra il mondo umano e il mondo naturale si rompeva, Fauno diveniva selvaggio, si scatenava, anche in senso erotico. Nei Lupercali, festa che precedeva il rinnovamento primaverile, i Luperci correvano seminudi e sferzavano con cinghie in pelle di capra coloro che incontravano per purificarli, secondo il principio per cui ciò che ferisce può guarire. La «Purificata» della festa era Iuno, dèa abbigliata in pelli di capra, e il rito di purificazione rendeva feconde le donne. Il Luperco (lupo) rappresentava la purificazione, mentre la frusta (capra) rappresentava la procreazione.

La festa di Lupercalia prevedeva, oltre alla rappresentazione nel Lupercale, anche una simpatica lotteria a sfondo amoroso e sessuale: i nomi delle giovani vergini da fecondare e quelli dei giovani aspiranti “uomini-lupo” erano posti in bigliettini dentro due appositi contenitori; i due fanciulli battezzati con il latte durante il rito lupercale pescavano a turno un bigliettino formando così le coppie che avevano a disposizione un intero anno, fino alla nuova celebrazione, per provvedere alla fertilità di tutta la comunità, con la benedizione di Marte, Romolo, Pan, Fauno Luperco e delle “Grandi Madri” romane – Ruma, Rea Silvia, Fauna, Acca Laurentia – incarnatesi nel modello mitico universale noto come “La lupa”.
Pan

 Pan copula con una capra. Foto Marie-Lan Nguyen [crediti]

Questa antica festa evoca dunque anche l’ombra di Pan, il dio del Panico, figura dionisiaca collegata alla dimensione selvaggia e incontrollabile della natura (ma anche protettore dei pastori e delle selve) che incarna un’ideale di vita primitiva e comunitaria in simbiosi con l’energia panica della natura. Raffigurato con le sembianze di uomo-capra o uomo-lupo trascorre rapido le distanze, salta sulle rocce, si nasconde nei boschi per assalire le ninfe e possederle, esprimendo la sfrenata libertà di una vita senza leggi tutta immersa nel godimento.

Plutarco riferisce che nel giorno dei Lupercalia la festa partiva con l’iniziazione di due nuovi luperci, col classico rituale del coltello insanguinato posto sulla fronte dei giovani (sangue delle capre sacrificate, poi pulito con lana intrisa di latte).

Secondo il filologo francese Georges Dumézil, i Luperci rappresentavano gli spiriti divini della natura selvaggia subordinati a Fauno. Nel giorno dei Lupercalia, infatti, l’ordine umano regolato dalle leggi, si interrompeva e nella comunità faceva irruzione il caos delle origini, che normalmente risiede nelle selve.

Confrontando le simbologie rituali sopra descritte con quelle celtiche relative alla festività di Imbloc, non si possono non notare alcune coincidenze. Il periodo, febbraio, che anche se nelle diverse tradizioni differiscono i giorni, probabilmente coincidevano nelle varie epoche con il plenilunio o il novilunio. L’intento della purificazione, il sangue (simbolo mestruale?), il latte e gli armenti, simboli indiscussi della fertilità che si vuole evocare. Non è difficile che le origini di entrambe le tradizioni
siano più antiche, comuni e probabilmente legate al culto agreste più arcaico della Dea Madre.
Tratto da :
Oramala, cronache dal contado – N° 3 – Febbraio 2010
Fonti testuali: Qui

Le feste della Ruota. Imbloc (Candelora)

viola mammola

immagine: Fritz Geller-Grimm [crediti]

Il terzo Sabba dell’anno (dopo Samhain, il capodanno pagano il 31 ottobre e Yule, il solstizio d’inverno) rappresenta un momento di transizione tra l’inverno e la primavera. La Dea si appresta al risveglio e con lei la terra.

È una festa di rinnovamento dove si celebra il ritorno della luce, la ripresa delle forze dopo il parto. Ci si prepara con riti di purificazione, con la pulizia della casa, si preparano le nuove candele e il sapone, si preparano i semenzai che andranno a ingravidare la terra.
Per la civiltà agreste e pastorale, Imbloc, o “in latte”, rappresentava il momento in cui si riempivano di latte le mammelle degli armenti pronti alle nuove nascite, latte che veniva versato per nutrire la terra come offerta propiziatoria. La tradizione celtica prescriveva che si facessero passare i primi agnelli nati in cerchi infuocati con le cui ceneri le donne si cospargevano le parti intime confidando che aiutasse le gravidanze, per questo veniva chiamata la festa della fertilità e i figli concepiti in quel periodo venivano detti figli del fuoco.

Alcune tradizioni, ancora, festeggiano in questo giorno la triplice Dea, riti sopravvissuti presso alcune fonti che rappresentano la linfa e la forza vitale della Madre. Reperti votivi sono stati ritrovati presso sorgenti e corsi di acqua un po’ in tutta Europa.

Le giornate, che già da Yule si sono allungate, portano una promessa di primavera anche se incerta dal momento che febbraio, il mese della “luna di ghiaccio”, è considerato il mese più nevoso.
Il fuoco, l’acqua, la terra governati dal ciclo del cielo.
E al cielo si volge lo sguardo per trarre gli auspici per la stagione.
Noto il detto popolare che varia da dialetto a dialetto ma con una evidente origine comune. Io lo ricordo così:
Candelora, Candelora, se pioviscola o gragnola dell’inverno semo fora;
Se fa sole o solicello, siam nel mezzo dell’inverno.
Se in questo giorno il tempo sarà inclemente l’inverno e agli sgoccioli, ma se il sole sembra dire che la buona stagione è arrivata siamo in realtà in pieno inverno.

Sono gli ultimi rigori, le ultime scorte di cibo, gli ultimi ciocchi di legna da ardere, ma il risveglio è comunque imminente recando seco promesse e già, sfidando le gelate, fanno capolino i primi fiori (che non sono le primule) con le loro foglie a cuore e il loro soave profumo, le viole mammole (uniche viole a profumare) e i fiori penduli e pallidi del nocciolo. Le gemme degli alberi cominciano a gonfiarsi, gli animali a svegliarsi dal letargo e le giornate si fanno via via più luminose.
La Ruota gira donando rinnovate energie.