Bilancia dal lager di Trier

L’ultimo pezzo di pane

Bilancia dal lager di Trier

In giornate come questa, dedicate alla memoria, mi chiedo quale sia il compito di chi scrive. Mi chiedo se usare il ben dell’intelletto serva solo a raccontare storie, a descrivere emozioni e non anche a tramandare sentimenti che dovrebbero essere la giusta evoluzione dell’essere umani.

Quella che si definisce umanità, società civile, sembra soffrire di una sorta di amnesia collettiva ricordando le conseguenze ma non l’origine dei fatti. Io credo che chi scorda il proprio passato sia condannato a riviverlo.
Per questo scelgo, nel mio piccolo, di rivendicare il diritto alla vita, il diritto all’acqua e al cibo, il diritto ad essere uguali, il diritto della Specie a muoversi su un pianeta del quale siamo tutti ospiti allo stesso modo.
Per questo nel “Giorno della memoria” non solo io ricordo, non solo porto testimonianza, io chiedo anche a chi scrive di non tacere, di ricordare a sua volta, di opporsi al rigurgito dell’odio, di non vergognarsi di essere umano.

Resistenza, si, una resistenza, una forza individuale, e per quel che si poteva, collettiva, resistenza del nostro “io” morale, della nostra personalità che veniva gradualmente sommersa, veniva gradualmente soffocata sotto tutta quella sofferenza;
resistenza a noi stessi, resistenza morale che consentiva talora anche la resistenza fisica. Si era ridotti ad un peso di 30-35 chili; eppure si durava, si durava perché si voleva tornare, si voleva tornare uomini nel mondo.
La solidarietà si allenta; eppure quando soltanto una fiammella del nostro spirito rimane, al fratello morente si da l’ultimo pezzo di pane perché possa avere ancora un quarto d’ora di vita“. (Piero Caleffi)
[Da “La nostra Resistenza ” edito dal Comune di Milano, Ripartizione Educazione, nel 1964 – distribuito nelle scuole]

La rudimentale bilancia nell’immagine è un simbolo, un monito, un cimelio storico, forse unico, che apparteneva a mio padre internato nel lager di Trier. Veniva usata per spartirsi quel pezzo di pane che per alcuni poteva esser l’ultimo.
Chi era fisicamente in grado spaccava pietre anche per chi non poteva, resisteva anche per chi non ne era in grado, perché la resistenza fosse quanto più possibile collettiva. L’umanità così si affermava sulla disumanità e sull’egoismo.

Albera Andrea, Stalag n. XII D, Trier – TRIANGOLO ROSSO – Comunista.

Nei campi di sterminio nazisti il triangolo rosso (con il vertice verso il basso) era il simbolo che identificava i prigionieri politici, ed accomunava a tutti i contestatori del regime nazista – in particolare i comunisti (da cui la probabile scelta del colore) e i socialisti -, nei confronti dei quali era stato emesso un mandato di arresto per motivi di “sicurezza”.

Dopo la sconfitta del nazismo e la liberazione dei campi, molti di questi simboli sono stati orgogliosamente rivendicati dalle rispettive categorie, come segno di identità e di resistenza sia alla barbarie nazifascista, sia ai pregiudizi sociali che spesso ancora oggi suscitano. In particolare, il triangolo rosso è assurto a simbolo di antifascismo militante da parte di organizzazioni e militanti di sinistra, specialmente in paesi come la Francia, il Belgio e la Germania.

Cenni storici:
Il campo XII D di Trier per soldati nemici, é lo stesso lager dove fu internato il filosofo Jean Paul Sartre che lí scrisse il dramma “Bariona o il figlio del tuono” incentrato sul rapporto tra madre e figlio e nel quale i credenti, compagni di sventura, trovarono una sorta di sollievo non potendo celebrare il natale.

L’ignavia dei più che non seppero riconoscere la bestialità delle leggi razziali portò allo sterminio, oltre che degli ebrei, di russi, omosessuali, zingari di varie etnie, comunisti, mongoloidi, gente del sud (italiani compresi), e tutti coloro che venivano considerati subumani.

Dodici milioni di persone sterminate nelle camere a gas, attraverso eliminazioni di massa, iniezioni di benzolo, per fame e privazioni, distruzione fisica operata anche nelle “infermerie” (dove anche ai bimbi si rompevano le ossa tante e tante volte per vedere quando avrebbero smesso di saldarsi). Troppe sarebbero le atrocità da ricordare, compresi i bimbi strappati al ventre delle madri, che solo scriverle mi fa star male.
Censura, proibizionismo, coprifuoco, razzismo, furono le loro armi che pian piano si trasformarono in una delle più spaventose dittature che il mondo ricordi.

Stiamo assistendo al riaffermarsi delle ideologie che tanto orrore hanno causato, davanti all’indifferenza dei più e oggi, come allora, si mal sopportano i “diversi”. Non passa giorno che qualche muro non sia imbrattato da motti di antica memoria, i principali network sono infettati da miriadi di gruppi di novelli nazifascisti portatori di nuovi incendi, miriadi di ignoranti negano la storia e li sostengono. Si ripresentano situazioni di emarginazione a seconda delle etnie, si trova normale assistere allo sprofondare non solo di corpi ma dello stesso Umanesimo, della morale e di un’etica che ora è scomoda.

Gli ignavi, oggi come allora, “non vedono”.
Oggi come allora l’umanità aspetterà di svegliarsi all’inferno?
In questo caso l´intolleranza è un valore, è un diritto, è un dovere. È difesa di quell’umanità che troppo spesso si è rivelata disumana.
Oggi più che mai urge il bisogno di reagire opponendosi con tutti i mezzi al radicamento della ferocia.

Questa pagina è dedicata a mio padre, Andrea, a cui, a causa dell’incendio degli archivi militari, non è mai stato riconosciuto lo stato di deportato.

Tiade, 7 lug 016

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