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Le feste della Ruota

 

L’immagine rappresenta un reperto proveneinte da una tomba gallica, conservato al Museo Nazionale delle Marche di Ancona. Si tratta di una corona di foglie ed altri elementi vegetali realizzata in lamina d’oro e smalto. [immagine di pubblico dominio – crediti]

Ci sono otto ricorrenze durante l’anno, le “Feste della Ruota”, chiamate anche Sabba (ma che niente hanno a che fare con calderoni e danze demoniache), che sono le feste del calendario pagano legate ai cicli del cielo e della terra. Ai tempi dell’età del ferro coincidevano con precisi eventi astronomici, oggi sfalsati in virtù dei cicli dell’asse terrestre.

Sono tradizioni molto antiche, precedenti al cristianesimo, che non sempre è riuscito a sovrapporvisi, le cui tracce sopravvivono tutt’oggi nelle manifestazioni folcloristiche e nelle tradizioni rurali.
La civiltà agreste, che dipendeva dallo scandire delle stagioni, aveva la necessità di determinare i tempi della semina e del raccolto, aveva la necessità di invocare, con la ritualità, la fecondità della terra, di ricollegarsi al rapporto con gli avi, di determinare il susseguirsi della stagione del lavoro con quella del riposo, della stagione della luce a quella del buio, della stagione del risveglio con quella della riflessione.

Era il tempo in cui la Dea, entità legata alla luce, era una divinità femminile, ma con la sua controparte maschile, e, pur con differenti sfumature, se ne trovano reperti fin dalla preistoria nella sua triplice veste simboleggiata dalle fasi lunari a cui è legata: fanciulla, matura e gravida, anziana.

Venere di Tan-Tan, scoperta in Marocco, datata tra 300.000 e 500.000 AC. con trace di ocra rossa. Contemporanea di Homo Heidelbergensis. [pubblico dominio – crediti]

La Dea dalle molte mammelle, dal ventre enfio, dalle forme abnormi, simbolo di fecondità e abbondanza. Dea gravida e sterile che sovrintende il mondo della natura, della terra legata al cielo, del regno dei vivi e quello dei morti.
Una divinità che dall’incontro con il Dio rende prolifica la terra. Né buona né cattiva, semplicemente esiste e si manifesta in ogni ciclo dell’esistenza.
A lei si rivolgevano i contadini per invocare messi abbondanti, a lei si rivolgevano le giovani donne per esser fecondate.

HOMO HEIDELBERGENSISUn’Essenza le cui briciole si ritrovano ancora sparse per i vari continenti, soppiantata da una divinità maschile univoca che non ha invece corrispondenze con la realtà materiale della nostra esperienza terrena, una divinità maschile che può fare appello solo alla fantasia e le cui manifestazioni sono intangibili, contrapposta alla manifestazione materiale della Dea che è invece esperienza quotidiana.

Homo Heidelbergensis è un ominide estinto, vissuto fra 600 000 e 100 000 anni fa e probabile ultimo antenato comune fra noi e Homo Neanderthalensis [crediti].

Quella Dea Madre che oggi stiamo violentando dimenticandoci che da Lei dipende non solo la Vita ma la nostra stessa vita.
Quella Dea Madre che, senza pietismi, ripercorrerà il ciclo di nascita e morte, come è sempre avvenuto, come avverrà sempre, fino alla fine della Sua stessa esistenza, in una perpetua Ruota.

Il cielo di Febbraio 2019

Il cielo del 15 febbraio verso mezzanotte. Immagine Stellarium

30 gennaio 2019

Il calendario del cielo ma con un occhio alla terra. Dal nostro punto di vista eterni e immutabili come i punti cardinali. Il Nord alla stella Polare o al Nord magnetico della bussola.

Peccato che di immutabile non ci sia niente, nemmeno il campo magnetico terrestre che se ne sta andando a spasso e dopo aver stazionato nel Canada si sta facendo un giretto verso la Siberia.
Pare abbia fretta, talmente tanta che il 30 gennaio di questo anno si dovrà aggiornare il “Modello magnetico del mondo” (WMM) in anticipo di 1 anno. Sistema “alla base di tutti i sistemi di navigazione e geolocalizzazione moderni, da quelli che guidano le navi in mare a Google Maps sugli smartphone”, rivelatosi “così impreciso da superare il limite accettabile per gli errori di navigazione”. [Fonte: Le Scienze]
-Torni a bordo, cazzo!

2 febbraio – Le feste della Ruota

Imbloc – Candelora

4 febbraio – Luna nuova

12 febbraio – Luna – primo quarto

19 febbraio – Luna piena

26 febbraio – Luna – ultimo quarto

Sciami meteorici.

Sono presenti un po’ tutto l’anno tra sciami maggiori e minori. Per chi volesse approfondire Qui una lista completa.
Cliccando sul nome si ottiene una descrizione dello sciame e la sua probabile origine.

Pianeti

Per chi fosse interessato alla visibilità dei pianeti sul sito astropratica.space è scaricabile gratuitamente “Il piccolo Atlante astronomico”, ma una piccola donazione per il lavoro svolto a favore di chi opera per la diffusione della cultura scientifica è sempre ben accetta.

L’ultimo pezzo di pane

Bilancia dal lager di Trier

In giornate come questa, dedicate alla memoria, mi chiedo quale sia il compito di chi scrive. Mi chiedo se usare il ben dell’intelletto serva solo a raccontare storie, a descrivere emozioni e non anche a tramandare sentimenti che dovrebbero essere la giusta evoluzione dell’essere umani.

Quella che si definisce umanità, società civile, sembra soffrire di una sorta di amnesia collettiva ricordando le conseguenze ma non l’origine dei fatti. Io credo che chi scorda il proprio passato sia condannato a riviverlo.
Per questo scelgo, nel mio piccolo, di rivendicare il diritto alla vita, il diritto all’acqua e al cibo, il diritto ad essere uguali, il diritto della Specie a muoversi su un pianeta del quale siamo tutti ospiti allo stesso modo.
Per questo nel “Giorno della memoria” non solo io ricordo, non solo porto testimonianza, io chiedo anche a chi scrive di non tacere, di ricordare a sua volta, di opporsi al rigurgito dell’odio, di non vergognarsi di essere umano.

Resistenza, si, una resistenza, una forza individuale, e per quel che si poteva, collettiva, resistenza del nostro “io” morale, della nostra personalità che veniva gradualmente sommersa, veniva gradualmente soffocata sotto tutta quella sofferenza;
resistenza a noi stessi, resistenza morale che consentiva talora anche la resistenza fisica. Si era ridotti ad un peso di 30-35 chili; eppure si durava, si durava perché si voleva tornare, si voleva tornare uomini nel mondo.
La solidarietà si allenta; eppure quando soltanto una fiammella del nostro spirito rimane, al fratello morente si da l’ultimo pezzo di pane perché possa avere ancora un quarto d’ora di vita“. (Piero Caleffi)
[Da “La nostra Resistenza ” edito dal Comune di Milano, Ripartizione Educazione, nel 1964 – distribuito nelle scuole]

La rudimentale bilancia nell’immagine è un simbolo, un monito, un cimelio storico, forse unico, che apparteneva a mio padre internato nel lager di Trier. Veniva usata per spartirsi quel pezzo di pane che per alcuni poteva esser l’ultimo.
Chi era fisicamente in grado spaccava pietre anche per chi non poteva, resisteva anche per chi non ne era in grado, perché la resistenza fosse quanto più possibile collettiva. L’umanità così si affermava sulla disumanità e sull’egoismo.

Albera Andrea, Stalag n. XII D, Trier – TRIANGOLO ROSSO – Comunista.

Nei campi di sterminio nazisti il triangolo rosso (con il vertice verso il basso) era il simbolo che identificava i prigionieri politici, ed accomunava a tutti i contestatori del regime nazista – in particolare i comunisti (da cui la probabile scelta del colore) e i socialisti -, nei confronti dei quali era stato emesso un mandato di arresto per motivi di “sicurezza”.

Dopo la sconfitta del nazismo e la liberazione dei campi, molti di questi simboli sono stati orgogliosamente rivendicati dalle rispettive categorie, come segno di identità e di resistenza sia alla barbarie nazifascista, sia ai pregiudizi sociali che spesso ancora oggi suscitano. In particolare, il triangolo rosso è assurto a simbolo di antifascismo militante da parte di organizzazioni e militanti di sinistra, specialmente in paesi come la Francia, il Belgio e la Germania.

Cenni storici:
Il campo XII D di Trier per soldati nemici, é lo stesso lager dove fu internato il filosofo Jean Paul Sartre che lí scrisse il dramma “Bariona o il figlio del tuono” incentrato sul rapporto tra madre e figlio e nel quale i credenti, compagni di sventura, trovarono una sorta di sollievo non potendo celebrare il natale.

L’ignavia dei più che non seppero riconoscere la bestialità delle leggi razziali portò allo sterminio, oltre che degli ebrei, di russi, omosessuali, zingari di varie etnie, comunisti, mongoloidi, gente del sud (italiani compresi), e tutti coloro che venivano considerati subumani.

Dodici milioni di persone sterminate nelle camere a gas, attraverso eliminazioni di massa, iniezioni di benzolo, per fame e privazioni, distruzione fisica operata anche nelle “infermerie” (dove anche ai bimbi si rompevano le ossa tante e tante volte per vedere quando avrebbero smesso di saldarsi). Troppe sarebbero le atrocità da ricordare, compresi i bimbi strappati al ventre delle madri, che solo scriverle mi fa star male.
Censura, proibizionismo, coprifuoco, razzismo, furono le loro armi che pian piano si trasformarono in una delle più spaventose dittature che il mondo ricordi.

Stiamo assistendo al riaffermarsi delle ideologie che tanto orrore hanno causato, davanti all’indifferenza dei più e oggi, come allora, si mal sopportano i “diversi”. Non passa giorno che qualche muro non sia imbrattato da motti di antica memoria, i principali network sono infettati da miriadi di gruppi di novelli nazifascisti portatori di nuovi incendi, miriadi di ignoranti negano la storia e li sostengono. Si ripresentano situazioni di emarginazione a seconda delle etnie, si trova normale assistere allo sprofondare non solo di corpi ma dello stesso Umanesimo, della morale e di un’etica che ora è scomoda.

Gli ignavi, oggi come allora, “non vedono”.
Oggi come allora l’umanità aspetterà di svegliarsi all’inferno?
In questo caso l´intolleranza è un valore, è un diritto, è un dovere. È difesa di quell’umanità che troppo spesso si è rivelata disumana.
Oggi più che mai urge il bisogno di reagire opponendosi con tutti i mezzi al radicamento della ferocia.

Questa pagina è dedicata a mio padre, Andrea, a cui, a causa dell’incendio degli archivi militari, non è mai stato riconosciuto lo stato di deportato.

Tiade, 7 lug 016

Tre parole per il 2019

Olimpo, paesaggio

Anche quest’anno accolgo l’invito di Penna Blu a trovare “tre parole guida per il nuovo anno”.
In realtà non le ho scelte io, mi hanno scelta loro perché non può essere altrimenti.

La prima è Resistenza:

Per questa parola prendo in prestito le parole di Piero Caleffi.
“Resistenza, sì, una resistenza, una forza individuale, e per quel che si poteva, collettiva… resistenza a noi stessi, resistenza morale che consentiva talora anche la resistenza fisica”.
La prendo in prestito per me stessa, per chi come Fleba il fenicio è sopraffatto dalle onde, per chi a un cielo di stelle preferirebbe un tetto sulla testa, per chi vorrebbe non dover frugare fra gli avanzi dei mercati, per chi spera il futuro guardandolo in controluce nel buio di un’esistenza lacrimosa.
La prendo in prestito e la faccio mia trovandola, insperata, nel corpo fisico e nella volontà di non arrendersi.

E di conseguenza Resilienza:

Fatto salvo il corpo, circa, il resto tocca alla mente e non farsi sopraffare dagli eventi. Forse la Resilienza è solo cocciutaggine, la volontà ferrea di non arrendersi nonostante tutto e tutti. Rifarsi daccapo mille e mille volte. Come la casetta in Canadà incendiata da Bingo Bango, come la tela di Penelope, che almeno aveva la consolazione di una distruzione volontaria. Daccapo? Sì, daccapo.

Allora diventa Perseveranza:

Percorrere il proprio sentiero, secondo la propria indole, senza chiudersi alle scoperte e alle novità, ma senza lasciarsi distrarre dalla strada intrapresa. Tutto funzionale a uno scopo che è qualcosa di più di un sogno, e perseguirlo pensando che il tempo sia infinito. Riempire un vuoto, materiale e immateriale. È lì che voglio andare, proprio lì e non da un’altra parte. Quella è la mia meta, lo è sempre stata e lo sarà fino alla fine dei miei giorni.

Sull’Olimpo.

I giorni della merla

Ghiaccio della Merla

C’è una leggenda che riguarda gli ultimi tre giorni di gennaio, considerati i più freddi dell’anno, la racconto a voi così, come le mie ave la raccontarono a me.

A quei tempi i merli erano bianchi, per meglio mimetizzarsi con la neve d’inverno, come a volte se ne vedono ancora.
Erano molto belli e giustamente fieri del loro piumaggio candido che luceva al sole.
Come oggi, costruivano i nidi tra le siepi o nei giardini, vicino agli umani, dove trovavano tra stalle e stagni, campi e orti, abbondanza di insetti d’estate e avanzi di frutta e bacche d’inverno. In cambio donavano il canto melodioso che li contraddistingue anche se, a volte, voleva dire finire in gabbia.
Quell’anno però il freddo fu talmente freddo che anche il ghiaccio tremava.
Ai polli gelavano le creste e si rifugiarono nelle stalle insieme ai conigli a cui gelavano naso e orecchie, ospitati dai pazienti bovini che gradirono un po’ di compagnia.
Il gatto fece tregua coi sorci e condivisero il canto del focolare.
Persino le siepi erano pietrificate da fiori di ghiaccio e la paglia nel fienile talmente indurita da non potervi fare un buco.
I poveri merli invece non riuscivano a trovare riparo dal gelo.
Il buio avanzava, piegato anch’esso sotto il peso del ghiaccio. Se non trovavano un riparo alla svelta non avrebbero visto la luce del giorno.
Stavano per cedere alla disperazione quando, vedendo il fumo uscire dal grande camino di pietra, al merlo venne un’idea.
-Ripariamoci lì dentro, dove esce un po’ di calore, domani, quando uscirà il sole cercheremo un altro riparo.
Così fecero.
Il merlo, più spavaldo, riuscì a infilarsi dentro il camino in un anfratto della pietra calda. La merla, più timorosa, come tutte le merle, si accoccolò sotto il torrino del comignolo, anche se stava un po’ scomoda, sperando che il nuovo giorno sciogliesse gelo e paura.
Ma il giorno arrivò e il gelo non si scioglieva.
E poi arrivò un altro giorno, e persino il canto gelava nelle gole.
Di giorni ne passarono tre e, quando ormai disperavano di salvarsi, finalmente il sole fece capolino dietro le nubi assiderate.
Spinti dalla fame si decisero allora ad uscire da quel riparo improvvisato, ma non erano più gli stessi.
Il merlo era tutto nero dalla fuliggine che saliva dal camino, e la merla affumicata, con la livrea picchiettata dalle faville che le avevano bruciacciato le penne.
Da allora i merli sono rimasti così, per ricordarsi, e per ricordare a tutti noi, che gli ultimi tre giorni di gennaio sono i più gelidi.

Da allora quei giorni, in onore del loro patire, vengon chiamati “i giorni della merla”.

Tiade 31 gennaio 2018

Il mio mondo al microscopio

 

Il mio mondo al microscopio
Pianeta Tiade – Immagine di sfondo Stellarium

Perennemente divisa tra cielo e terra la vita quotidiana sta nel mezzo, ma sono perennemente in ritardo su tutto, quando il destino si diverte a sconvolgerti i piani non c’è modo di tenere un “calendario editoriale”. Inserirò ugualmente i testi che avevo già pronti, anche se in ritardo, spero anche di riuscire a inserire adeguatamente il libro e i quadri con i giusti crismi per l’acquisto sul sito (visto che mio figlio si è stufato di supportarmi), anche se per natale non farò più in tempo con le spedizioni, e sempre che “Error establishing a database connection” la faccia finita di rallentarmi.

Ho intanto modificato l’immagine de “La lunga notte”, mi spiace che sia sganata ma è una gif estratta da un video fatto con la mia minuscola macchina compatta, di meglio non potevo. Tra i tanti sogni nel cassetto la macchina fotografica, che mi permetta di fare video deceni oltre che macro e micro, non è la priorità, resterà un sogno fra i tanti e non il più importante.
Ho inserito anche l’articolo sull’anniversario dell’eccidio di piazza Fontana, a Milano, una data che non posso dimenticare, il perché lo potrete leggere, se vi va.
Volevo anche inserire un articolo sulle stelle cadenti di questo mese e sulla cometa la cui visibilità massima è stata ieri 16 individuabile nella costellazione del Toro, il mio segno (speriando sia di buon auspicio, per chi ci crede), nubi e luna permettendo. Ma proprio non ce la faccio. Mi auguro di avere più tempo nell’anno entrante condividendo con chi mi legge la mia fascinazione per il cielo.

Spero che i banner non infastidiscano troppo, anche se vorrei riuscire a ridurli, sono il giusto, minimo, compenso per chi mi ha fatto il sito con tutti gli annessi e connessi. Gratis, anche se sta disperatamente cercando un lavoro da casa, data la sua salute, che non riesce a trovare nonostante le sue indubbie capacità.

Intanto, tra una botta di tosse e l’altra, una scatoletta di tonno, due fette di pan carrè e la maionese, che di cucinare non mi passa manco per il capo, vedo di sbrigarmi così rientro a letto con la boule dell’acqua calda (suprema invenzione di ecologia e risparmio) e spengo la stufa, che la bombola deve durare più di venti giorni. Spero solo che la temperatura non si abbassi troppo, per ora 6,5 gradi sono sopportabili anche se le dita faticano a scrivere, c’è chi sta ben peggio, spero solo che non si ghiaccino i tubi dell’acqua. Devo riempire le taniche che non si sa mai. Prima o poi pubblicherò anche le mie “Cronache di ordinaria resistenza”, come mi ha consigliato Barbara, prima o poi.
Devo ricercare lavoro, come badante, che le segretarie “attempate” non vanno di moda, meno che mai da casa, senza auto e senza patente. Sperando di non trovare una famiglia troppo truffaldina, come troppo spesso ho trovato. Ma questa è un’altra storia che . mi riprometto di documentare. Ormai mi sono definita “La ragazza con la valigia sempre pronta”. L’intervento che dovevo fare aspetterà, come la casa da sistemare, come il geometra e come tutto il resto.
Intanto, il migliore augurio che mi sento di farvi è “Che la vita con voi non sia troppo dura”, nel caso “Buona Resistenza”.
Confidando nella clemenza di Madre Natura, che non mi ha mai abbandonata, vi saluto, sperando di non avervi annoiato.

Tiade

p.s. – Nell’attesa che il server mi facesse il piacere di farmi rientrare nel mio sito ha pure nevicato. Sempre meglio del gelo.

12-12-1969 – La fila sbagliata

piazza fontana - imm. pubbblico dominio
Bomba in piazza Fontana – Immagine di pubblico dominio

Faceva un freddo cane, ricordo l’umidità gelida nelle ossa che un cappotto non riusciva a riparare. Lavoravo solo da quattro mesi, troppo pochi per non fare sbagli. Fu così che, dietro incarico del proprietario del negozio dove lavoravo, mi recai in banca a sbrigare una commissione. Da via Fatebenefratelli la Banca Nazionale dell’Agricoltura più vicina era quella in piazza Cavour. Mi sembrava la cosa più logica fare la fila lì.
Mentre ero in coda pensavo che solo un mese prima lavoravo in Rinascente, mi piaceva, avevano appena aperte le vetrine sotto terra (per me scendere un piano fino al metro’ era già sotto terra). Non era un bel periodo ed io ero giovane. A quindici anni le bombe fanno paura e di bombe ne giravano in quel periodo. Il pericolo si percepiva respirando e la minaccia continua di saltare per una bomba non faceva lavorare tranquille. Durante i tumulti i cancelli pur pesanti cadevano sotto la pressione degli scioperanti ma un’apprendista non poteva scioperare, pena il licenziamento, ed io non potevo permettermelo. Fu per quello che me ne andai sperando in un ambiente più tranquillo anche se meno interessante.
Riflettevo all’opportunità forse persa quando finalmente fui allo sportello e lì, un po’ imbarazzata, scoprii che avevo sbagliato, dovevo andare alla sede centrale in piazza Fontana, e magari con i documenti.
Me ne uscii un po’ sconsolata, pensando alla figura da tonta e alla fila che dovevo rifare, al freddo e al mal di schiena, ritornando su via Fatebenefratelli, dov’era il negozio, per prendere i documenti.

Dalla questura, un paio di portoni più avanti, stavanno uscendo auto in massa a sirene spiegate, arrivavano da tutte le parti e il suono delle sirene riusciva quasi a coprire il frastuono della città. Non capivo e non immaginavo. Non ero abbastanza “smaliziata” per capire.
In quella che è ricordata come “la strage di piazza Fontana” i morti furono diciassette e ottantotto i feriti gravissimi.
Io non ero tra quelli.

Oggi so che la mia sbadataggine, la mia ingenuità, mi hanno salvato la vita nella “fila sbagliata”.
Solo tre giorni dopo, a pochi metri dal negozio dove lavoravo, l’assembramento fu per Pinelli.
Smisi di lavorare in centro spostandomi in un grande magazzino più vicino a casa. La situazione non cambiò poi molto.
La paura è qualcosa di irrazionale ma è uno degli istinti più forti della specie.
Smisi di lavorare. Mi rifugiai nella notte milanese degli artisti vivendo di lavoretti manuali saltuari.  Invisibile tra gli invisibili.
Ripensado a quel giorno ho netta la percezione del “frastuono nel silenzio”, nessun commento di meraviglia, nessuna imprecazione, stavano tutti zitti, come di fronte ad un morto dopo una lunga agonia.
Fra le tante immagini ho scelto quella del buco provocato dalla bomba perché meglio di tutte simboleggia un buco nella nostra storia e forse meglio di tutte può dare l’idea della violenza dello scoppio.
Ogni tanto ripenso a quella “fila sbagliata” e a come a volte l’ingenuità ci possa salvare la vita.
Tiade, 12 dicembre 2013

p.s. Ringrazio il fotografo, di cui non ho trovato il nome (se vi è noto vi prego di postarlo nei commenti), che ha reso la fotografia di pubblico dominio, ché una storia così pesante non può essere una questione privata.

Intorno a me oggi vedo eventi che mi spaventano, spero solo che i tempi che viviamo non si ripresentino con una nuova e più terribile “strategia del terrore”, da qualsiasi parte provenga.
Con questo articolo intendo raccogliere l’invito agli intellettuali e agli artisti (nel  mio piccolissimo) a prendere posizione contro le recrudescenze nostalgiche per le svastiche e il dilagante razzismo che le disparità sociali alimentano.

Prendo in prestito le parole di mio figlio, undicenne, in un saggio per l’esame di terza media sulla Resistenza. “La grave colpa fu l’ignavia di chi vedeva e non interveniva. Questo portò alle leggi razziali con le conseguenze che tutti conosciamo”.
Siamo di fronte ad una migrazione di massa, come nella nostra specie è sempre avvenuta, per le condizioni sociali e climatiche che sono indubbiamente colpa dell’essere umano. Quella umana è una Specie ove non esistono razze, come nei cani e nei gatti, e il sangue ha sempre lo stesso colore.
Dovremmo ricordarcene nel momento in cui ci prepariamo a festeggiare il nuovo anno, sperando sempre che sia migliore e più consapevole di quello passato.

17 dicembre 2018

Ritornano

Ritornano rondini Tiade immagini

A volte ritornano.
Come le rondini a primavera.
Il sito è sparito per qualche giorno, colpa mia.
Chi mi conosce sa bene come la burocrazia non mi stia particolarmente simpatica, come alla maggior parte della gente, salvo che ai burocrati di professione.
Scendere a valle per organizzarmi per i pagamenti on line non è come scendere al bar sotto casa, anche perché non ho un bar sotto casa, tanto meno la banca. Solo cinghiali grugnanti e a volte qualche lupo girovago.
Cosa ancora più difficile è stata organizzarmi col mio Delfino, visto che è lui l’esperto, particella imprendibile e indeterminata.
Prima la banca con tutti i suoi codici, poi le carte, altri codici, poi il tentativo di recupero del sito in zona Cesarini, ancora codici.
Infine la parte informatica, pagine, hosting, conti on line, numeri, numeri e numeri ancora.
Codici, numeri, cifre, carte e tesserini. Li odio.
Date e scadenze, troppe cose da fare e tutte insieme.

Per una come me, per cui la freccia del tempo è scandita dalle stagioni, il risveglio dalla luce dell’aurora, visto che non ho messo le persiane, la merenda dallo stomaco che chiama, è tutto innaturale, inconcepibile, snervante.
Gli unici numeri che mi piacciono son quelli degli esercizi di matematica che ancora faccio, a volte, giusto per non considerare sprecato il tempo della scuola. Almeno con quelli si può giocare.
Non posso che ringraziare Delfo e la sua (poca) pazienza, senza di lui sarei persa.

Mentre scrivo guardo i garruli balestrucci che mi frullano davanti alla finestra e si posano incerti sui fili della corrente.

Aspettano la mamma per l’imbeccata e quando la vedono arrivare si agitano, frullano l’ali e spalancano i becchi in attesa, poi si fanno coraggio e spiccano brevi voli per riposarsi subito dopo.
Partiranno a settembre, abbastanza forti per fuggire dal freddo cercando al sud terre assolate. Si poseranno a uno a uno sui fili, si chiameranno all’adunata e a un cenno convenuto spiccheranno il volo tutti insieme.
A volte ritornano.
Li invidio.

Quando e quanto il Quanto?

Quanto - gif animataHo creato un mostro.

Il mio informatico preferito è una particella subatomica, il gatto di Schrödinger.
Un “quanto” di luce che non coincide con la realtà relativa del mio tempo, che già è parecchio relativo di suo.
Impossibile determinare la sua esistenza e allocazione nell’Universo Spazio Temporale che compone la mia realtà, svanisce, trasformato in Materia Oscura, rilevabile e rilevante, ma non tangibile.
Quando pensi di averlo preso non c’è già più.

Le poche volte che lo incrocioo so di avere i millisecondi contati. Gli parlo al telefono, si disintegra la batteria, lo becco in chat (inutili gli appostamenti che si rende invisibile) ma le risposte paiono dover attraversare gli spazi siderali, prendiamo un appuntamento ma si perde in un viaggio nel tempo, poi appare all’improvviso, come una supernova, fulmineo, e altrettanto fulmineamente sparisce.
Comunicare è un’impresa. Documenti da scambiarsi? Tanto non li aggiorna. Drive? Fa la muffa. Mail? Non le legge che a gruppi, una volta ogni tre mesi.

Anche far coincidere gli orari mica è facile. Io sono un gufo, ma lui è un pipistrello, tira l’alba, quando io mi sveglio. Oddio, non è che entrambi dormiamo poi molto, anzi.
Troppe son le cose da fare che senza di lui non si fanno, sarebbe come eliminare il nucleo dall’atomo. Troppe cose ho fatto mentre sedimentavo di cui non sa un bosone, e dovrebbe saperle.
Non a caso due delle tre parole dell’anno erano Delfino e Pazienza.
Ma io ho fretta, il livello pazienza è in riserva da anni, ho finito il carburante. Va a finire, che mi arrangio, e faccio pasticci, ché son bravissima a fare pasticci.

Intanto che aspetto, “mugino”, il che vuol dire che “mi giro i film”, i miei pensieri scorrono per immagini, come sempre. Sorrido.
Produco.

Un’immagine vale più di tante parole, la quintessenza dell’Indeterminazione.
(Ciao Delfo)

Fil rouge, la scrittura

Tiade sito - Fil rougeEcco, di lavoro ne ho fatto tanto, mi prendo una pausa a notte fonda con un po’ di jazz.
Guardo le pagine aperte sul pc e ricollego il filo che le ha legate.
La posta, Drive, un sito che descrive le fasi di decomposizione dei cadaveri, che chissà come cavolo ci sono arrivata, un paio di ricerche Google, un notes, e le pagine di un sito tra un articolo sul marketing e uno su fb.
Un’altra scrittrice. Bene.
Poi leggo i commenti e riconosco un’altra scrittrice, della quale seguo il sito, che è a sua volta presente sull’unico altro blog che leggo.
Sorrido.
Ho tre, dico tre di numero, blog interessanti salvati tra i preferiti vari, e scopro che tutti e tre sono in qualche modo connessi.
Mi rendo conto che c’è un filo comune, ognuno con le proprie specificità, lo stesso che ha visto aprirsi questo sito.
Non credo che sia solo la promozione della propria scrittura, del libro, della competenza tecnica, e quanto altro.
Vedo invece che, indipendentemente dai risultati, a vari livelli, il bisogno di scrivere non si ferma. Si trasforma in pagine anche tecniche ma da cui traspare “la scrittura”. Il carattere, lo stile, la colloquialità, come colloquiale è un libro. Si trasforma in appunti, progetti, cose nei cassetti che premono, confronti.
È un’indole. Ora mi ci riconosco, posso anche accettare l’appellativo di scrittrice, che mi era un po’ ostico, perché è quello che faccio insieme ad altre mille cose. Scrittrice, anche.
Non so cosa riuscirò a fare con questo sito, tecnicamente sono molto indietro. Se il mio informatico preferito non si da una mossa a supportarmi andrò parecchio piano.
Vorrei poter già inserire il resto del materiale, i quadri anzitutto, e fb, sì, in qualche modo mi servirà anche senza presenza, vorrei finire quel libro di oltre 150 pagine a cui mancano solo le note e un paio di immagini, vorrei “finire” e cominciare a mettere a frutto tutto il lavoro messo in cantiere negli anni, o almeno provarci, mentre cerco di rimettere in piedi il “resto”, che preme.
Intanto, anche io come tutti, curioso, mi rifletto e rifletto, scrivo, cerco e ogni tanto appunto.
Non posso che mettere in pratica le tre parole dell’anno che mi ero ripromessa.
Pazienza- se non puoi cambiare adattati:
Delfino- ma ‘ndo vai se l’informatico non ce l’hai?
Ordinare- mi ordino di mettere ordine.
A presto, spero.