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Chiusi dentro, il mondo fuori

Di NASA/Tracy Caldwell Dyson - http://spaceflight.nasa.gov/gallery/images/station/crew-24/html/iss024e014263.html direct link, Pubblico dominio, https://commons.wikimedia.org/w/index.php?curid=12063659
Di NASA/Tracy Caldwell Dyson – http://spaceflight.nasa.gov/gallery/images/station/crew-24/html/iss024e014263.html direct link, Pubblico dominio, https://commons.wikimedia.org/w/index.php?curid=12063659

Stasera ho visto un film.
Un film di fantascienza definito “anti-utopico”.
L’astronave “città turistica verso Marte”… tutti chiusi dentro.
Niente spoiler, solo mi ha fatto venire in mente che tutto il mondo ora è un po’ più chiuso dentro.
Gioco forza.

Là fuori non c’è il vuoto cosmico, letale. Ma se evitiamo, magari, comportamenti non tanto furbi, forse è meglio.
Anche per me è un gran fastidio stare chiusi dentro. Si diventa noiosi e ci si guarda in cagnesco.
A meno che…
Visto che siamo chiusi dentro un’astronave tanto vale organizzarci.
Domani ricomincia la settimana “canonica”, la burocrazia pretende il suo tributo di tempo perso al telefono.

Il freddo intenso è passato e io intanto ho seminato nei cartoni delle uova, sperando di riuscire a trapiantare per tempo. Quando tornerò a casa.
Ancora un po’ di pazienza, manca poco.
La notte scorre e il sonno avanza.
Buon risveglio.

P.s.- Il film è “Aniara” tratto da un romanzo svedese. Mi è piaciuto molto, da vedere.

Equinozio di primavera – Le cose da fare

-Foto di Sergio Cerrato da Pixabay-blu
-Foto di Sergio Cerrato da Pixabay

Premessa:

“Nonostante provi a scacciare le difficoltà a suon di bestemmie, gli impegni hanno preso il sopravvento quindi niente podcast questa settimana.
Lanciatemi una maledizione nei commenti la merito.”
(Daniele Fabbri-yt)

Siamo in una società orwelliana, e questo è risaputo, ma l’esasperazione di questi tempi mai l’avrei immaginata.
Siamo sommersi di “cose da fare” dovendoci ricordare che ci sono anche cose che non possiamo fare che ci obbligano comunque a farne altre.
Così si aggiungono cose da fare alle cose da fare.
Ognuno  con i suoi problemi, piccoli o grandi che siano, che ci sommergono la giornata e quando rialziamo la testa dal sacco ci accorgiamo che per quello che avremmo voluto fare non avanza il tempo.

E le cose da fare non riesci a farle tutte e  tutte insieme. Sono importanti e vitali ma sono parassiti che ci mangiano il tempo e lo spirito, Arte artata.
I pensieri provano a radunarsi per trovare ognuno la sua via, si aggrovigliano cercando un tempo in uno spazio che ne è avaro.
E allora il capo cerca le mani.

Quella testa stretta dalle mani a coppa su cui si china, quasi a voler raccogliere i pensieri che strabordano.
Quante teste su quante mani, ché le bestemmie non bastano più.
È questione di Resistenza. Ci vuol coraggio.

Ma io mi sono stufata di essere fagocitata dalle cose da fare.
Le farò lo stesso, ma una alla volta dedicandogli il tempo che meritano, e non è quello della mia vita.

Oggi è l’equinozio di primavera, la natura si risveglia, è un buongiorno per ricominciare ad Esserci.
Anche solo per quei pochi attimi rubati a un sonno “disturbato” dalle “cose da fare”. Basta poco, anche solo un’ora, a letto col PC sulle gambe.  Come ora.

La strada per i sogni è lunga e impervia, meglio incamminarsi.

 

Statue distrutte e Diritti

La grotta delle mani - Santa Cruz
La grotta delle mani – attribuzione Marianocecowski – licenza https://commons.wikimedia.org/wiki/File:SantaCruz-CuevaManos-P2210651b.jpg

Basta digitare in un motore di ricerca le parole “statue” e “distruzione” per trovare quasi nove milioni di risultati. Persino chi non legge giornali, solo frequentando i social, sa cosa sta succedendo nel mondo ai monumenti dei più svariati personaggi storici. Statue abbattute, imbrattate e rimosse.

È una rabbia crescente che trova sfogo nella distruzione delle immagini che rappresentano soggetti le cui azioni, viste con gli occhi di oggi, non sono giustificabili. Rabbia innescata da comportamenti delle forze dell’ordine, generalizzati un po’ in tutto il mondo, che tendono ad una violenza cieca che si traduce in una pena di morte non sancita ma praticata.
E non è solo questione di razzismo.
Si va dalla tecnica del placcaggio con soffocamento, alla revolverata alla schiena di chi fugge disarmato, dalla Diaz a Stefano Cucchi. È repressione violenta, degna dei più beceri regimi fascisti, verso ogni forma di protesta che si ribelli a ogni sorta di discriminazione o ingiustizia sociale, singola o organizzata che sia.

Perché distruggere le statue?

Il tentativo è quello di censurare personaggi discutibili della storia insieme alle loro azioni. Ma la storia si guarda con gli occhi del presente, quando il metro di misura delle consuetudini sociali non è più lo stesso.

Una lucida disamina in tal senso, a cui nulla potrei aggiungere, è proposta sul canale YouTube “Heikudo e la biblioteca di Alessandria”, nella “pillola di storia 385”, dove è posto l’accento sul ,rischio oscurantista che si corre cancellando, insieme ai simboli, parte della storia.
Un invito a contribuire alla discussione con i commenti a cui l’autore risponde in un video successivo integrando l’argomento. Ne consiglio vivamente l’ascolto.

Invito alla riflessione

Nella Grecia e nella Roma antiche era usuale la pratica della pederastia praticata anche dagli imperatori.
Gli antichi egizi era incestuosi oltre che schiavisti.
I popoli primitivi praticavano il cannibalismo.

Se gli esempi del passato ci fanno paura e intendiamo sfogare sulla loro iconografia la nostra rabbia, non si corre il rischio, distruggendo tutto, di distruggere anche la memoria storica dei cattivi esempi insieme all’arte che hanno creato?
Prendiamo per esempio le pitture rupestri di decine di migliaia di anni fa che riproducono stampi di mani. Popoli probabilmente rozzi e violenti, con l’abitudine di cibarsi dei propri simili, ma dotati di pensiero astratto, un segno dell’evoluzione della mente. Le vogliamo distruggere?
Quelle impronte sono la firma dell’autore e insieme alla testimonianza delle origini del genere umano distruggeremmo l’autore stesso.

Diritti rivendicati e Diritti dimenticati

Ogni statua, ogni quadro, ogni film censurato, ogni opera, non simboleggia solo ciò che rappresenta, ma anche l’autore che l’ha prodotta.

Giusto per esempio, il monumento a Indro Montanelli, collocato nei giardini pubblici di Milano, è un’opera in bronzo dorato dello scultore Vito Tongiani. La statua di bronzo raffigurante Cristoforo Colombo in Minnesota è stata realizzata dagli scultori Carlo Brioschi e Leo Lentelli.
La distruzione è praticata per rivendicare dei sacrosanti diritti. Ma non ci si rende conto che in quel modo se ne viola un altro. Il Diritto d’autore.
“Poca cosa”, potrà pensare qualcuno, come se i diritti avessero un punteggio rispetto all’importanza.
Ma non è affatto poca cosa se si guarda il prisma da un’altra angolazione.
Nessuno ha il diritto di violare i diritti altrui per rivendicare il proprio.
Questo deve essere un principio cardine o è barbarie da far west.

Diritto d’autore, Diritto morale

La legge sul Diritto d’autore non è nata per regolamentare il commercio di meri oggetti ma per difendere il pensiero dell’artista, e non c’è niente di più intimo del pensiero. È un principio donatoci dagli illuministi francesi, che vollero discostarsi dalla normativa britannica, per sancire la proprietà intellettuale come diritto morale dell’individuo.

Il Diritto d’autore è così strettamente legato alla persona, talmente parte della stessa, da rientrare tra i diritti inviolabili (Dichiarazione universale dei Diritti umani, art 27, comma 2), di conseguenza, nessuno può esserne privato, tanto che è irrinunciabile dallo stesso autore.
Distruggere un’Opera dell’ingegno creativo è un delitto non contro ciò che rappresenta, ma contro la persona/autore, talmente grave da esser contemplato anche dal codice penale.

Le giuste ragioni e le azioni sbagliate

Ritengo la distruzione di qualsiasi Opera:
Anacronistica. Fuori contesto storico, come ben spiegato nel video di Heikudo
Irrazionale. Non si focalizza sul vero problema.
Controproducente. Il risultato danneggia i Diritti invece di affermarli. Non solo. Dà adito ad azioni di rappresaglia che nulla portano alla causa, anzi.

Con cieca furia distruttiva si rischia di perdere il focus della questione che non può che essere la politica, non quella passata, comunque da ricordare e analizzare, ma quella attuale.
La polizia reprime perché è armata dai politici di turno.
Le disparità sociali sono attuate da politiche antisociali varate dalla classe politica e avallate dall’indifferenza dei più.
Pochi straricchi che parassitano il mondo, inteso anche come Terra, campano sulle spalle della miseria umana.

Coscienza collettiva: è tutto da rifare?

Sento spesso dire che è preminente l’interesse collettivo rispetto a quello del singolo. Attenzione, perché questo rende sacrificabile l’Uno per il bene di tutti, che è lo stesso principio che anima i kamikaze giapponesi e i terroristi fanatici religiosi imbottiti di esplosivo.

Manca la percezione che è il Diritto di Uno, che finisce dove comincia quello altrui, che si trasforma nel Diritto della collettività umana, perché è l’insieme degli individui che crea una società così come l’insieme di ogni singola cellula forma un organismo. Una cellula impazzita che ne contagia altre crea un tumore.
Manca la coscienza su quali sono i Diritti Umani, manca l’insegnamento capillare degli stessi, manca la consapevolezza che “ogni diritto non rivendicato rischia di essere un diritto perso”, anche se non ti tocca in prima persona.
E questo deve valere anche per i politici.
Lì, e solo lì, a buon diritto, bisogna intervenire.

I santi di ghiaccio, una pandemia

Le tre Parche - Bernardo Strozzi
Le tre Parche – Bernardo Strozzi (Il Cappuccino) 1581-1644 – Immagine di pubblico dominio

Nella tradizione, che il clima pare non smentire, questi tre giorni di maggio (12,13 e 14) sono i giorni dei “santi di ghiaccio”.

Tre giorni in cui la primavera sembra ritirarsi per concedere l’ultimo saluto all’inverno morente. “Aprile non ti scoprire e maggio vai adagio”, diceva saggia la nonna mentre ti costringeva a metterti il golfino sapientemente lavorato “ai ferri”.

Ma il ghiaccio che ci permea è ben altro e non basterà un golfino.
È il ghiaccio dentro.

È negli animi chiusi all’altro, il nemico sociale, il nemico virulento, l’invasore, colui che ci ruba pane e lavoro.
È nel rigurgito lanciato contro colei che non è morta in prigionia e dall’alto dei suoi 20 anni riceve l’abbraccio di una madre che la credeva persa.

È nel terrore della solitudine che costringe ad ascoltar null’altro che la vacuità della propria mente.
È nell’odio fine a sé, a null’altro che a sé.
È nelle scarpe rosse in filari su una gradinata, vuote, come la vita che le ha smarrite.
È nella disperazione di un desco scarno che non vuole sventolare la bandiera della resa.
È nel silenzio assordante di un mondo deserto di gente.
È nei campi orfani di coscienza e in mani invisibili alla raccolta.
È nel frastuono delle bombe che non si ammalano mai.
È negli spazi lasciati da fiori assetati di vita, giovani germogli o querce antiche.

È in chi ha rubate le cesoie ad Atropo per scegliere il filo da recidere.
È nei diritti sospesi come il respiro di chi teme e di colui che lotta per non lasciarlo andare.
È nella Terra stritolata a cui abbiamo dato solo un attimo di riposo.
È nell’inconsapevolezza di chi pensa che tutto sarà come prima e non sa che ora è già dopo.

I santi di ghiaccio sono tra noi, tutti i giorni.

Raggelate le Muse tacciono mentre la Triste Signora miete i suoi campi.

Tiade

Primo Maggio in ritardo

Alba sul mareE che cavolo.

Avevo preparato un video per l’occasione.
Niente di sofisticato, ho solo scaricato Powerdirector sul mio Android e ho sperimentato un pochino.
Ma solo un pochino davvero ché quando ho uno strumento nuovo in mano mi prende la smania di fare subito.
Ma tra il dire e il fare c’è di mezzo l’incompetenza tecnica che ha prodotto un video troppo, veramente troppo pesante.
Pazienza. Era venuto veramente “carino”.
Vorrà dire che, anche se in ritardo, mentre ascolto il Concerto del Primo Maggio al cellulare di Delfo, lo posterò come articolo.

Primo Maggio e le partigiane negate

 

Partigiana impiccataLa storia delle donne è fatta di sopraffazioni, sottaciuta, negata, in tutti i campi, dalla scienza alla storia stessa. Vittime del patriarcato, di una scienza che le vedeva “inferiori” e del mondo ben pensante, è spesso difficile far emergere la loro storia.
Questo vale anche per le partigiane, di ieri e di oggi.
Di seguito alcuni stralci di articoli i cui link troverete in calce.

alla Liberazione quasi sempre fu impedito alle donne di sfilare con le armi, perché si riteneva che il mondo benpensante non avrebbe gradito
[La Resistenza dimenticata delle partigiane col fucile e dei civili disarmati – Paolo Marcolin – 17 gennaio 2020]

Alle donne partigiane piemontesi, nel dopo guerra, fu vietato loro di sfilare dopo la Liberazione
Tante le città in cui i capi brigata suggerirono alle donne di non sfilare oppure di farlo nel ruolo di crocerossina.
[Donne partigiane calabresi: la Resistenza ammutolita – Annamaria Gnisci – 24 aprile 2019]

Partigiane combattentiIl 6 maggio 1945 Tersilla Fenoglio non poté neppure partecipare alla grande sfilata delle forze della Resistenza a Torino. ‘Ma tu sei una donna!’, si sente rispondere da un compagno di lotta nell’estate del 1945 la partigiana Maria Rovano, quando chiede spiegazione dei gradi riconosciuti soltanto ad altri. Ed a Barge, il vicario riceve il brevetto partigiano prima di lei. E Nelia Benissone? Dopo aver organizzato assalti ai docks, addestrato gappisti e sappisti, lanciato bombe molotov contro convogli in partenza per la Germania, disarmato militari fascisti per la strada, anche da sola, e dopo essere stata nel 1945 responsabile militare del suo settore, non sarà forse riconosciuta dalla Commissione regionale come ‘soldato semplice?
[Storia delle donne partigiane: fu una resistenza taciuta – Stefania Maffeo]

le donne partigiane imbarazzano e destabilizzano anche coloro che, al loro fianco o con loro al proprio fianco, hanno combattuto per dar vita a qualcosa di radicalmente nuovo. È per questa ragione che, alla Liberazione, le donne sono escluse da molte delle sfilate partigiane nelle città liberate; in precedenza, non erano mancate, tra i compagni di lotta, le voci che criticavano la scelta femminile di abbandonare il focolare per impegnarsi nella guerra partigiana, che implica convivenza, promiscuità, assenza di controllo parentale. …
[Le donne nella Resistenza – 11 gennaio 2011 aggiornato il 16 giugno 2016]

Nel libro in cui raccoglie le sue memorie, Con cuore di donna, Carla Capponi, figura centrale della resistenza romana, vicecomandante dei Gap (Gruppi di azione patriottica), racconta per esempio che i suoi compagni non volevano concederle l’uso della pistola e per questo fu costretta a rubarla su un autobus affollato e anche in questo caso i compagni provarono a sottrargliela. …
[Il ruolo rimosso delle donne nella Resistenza – Annalisa Camilli – 25 Aprile 2019]

Venezia aprile 1945I numeri delle donne che hanno lottato per la Resistenza sono enormi. I dati provenienti dall’ANPI, l’Associazione Nazionale dei Partigiani Italiani, parla di 35.000 “partigiane combattenti”. Furono inoltre 20 mila le patriote con funzioni di supporto, 70 mila le donne appartenenti ai Gruppi di Difesa, 16 le medaglie d’oro e 17 le medaglie d’argento, 512 le commissarie di guerra. Ovviamente molte sono state le donne arrestate, circa 4.633, torturate e condannate dai tribunali fascisti e molte altre, 1.890, le deportate in Germania. …
[25 aprile: le donne partigiane combattenti furono 35mila – Annamaria Pazienza – 25 Aprile 2020]

altre furono considerate come “poco di buono” per aver trascorso molti mesi in compagnia di uomini
[Un fiore che non muore: La voce delle donne nella Resistenza italiana – Ilenia Rossini]

Nonostante il ruolo importantissimo che … ebbe nel conflitto, le venne vietato di partecipare alle sfilate che si ebbero dopo la Liberazione.
[Resisting Bodies: Narratives of Italian Partisan Women – Rosetta D’Angelo, Barbara Zaczek]

Monumento alla partigiana
Crediti: Monumento alla partigiana – Venezia, Riva dei Partigiani – foto di Jacqueline Poggi 26 febbraio 2015 – statua di Augusto Murer, 1961 – monumento di Carlo Scarpa, 1968 – (CC BY-NC-ND 2.0)

dopo la liberazione del 25 aprile del ‘45 alle donne venne vietata la sfilata in quanto non riconosciute come combattenti. Al contrario, come racconta Beppe Fenoglio nel suo libro “23 giorni della città di Alba” alcune donne sfilarono in pantaloni e non in gonna, (era questo sovente il loro abbigliamento durante la resistenza), tra i commenti maschilisti dei cittadini che assistevano alla sfilata e dicevano: “Ahi povera Italia!”
[Storie e testimonianze di donne e uomini partigiani – Alice Arduino – 29 gennaio 2017]

ricordo che anche il 25 aprile di 75 anni fa … Si decide che nella grande manifestazione di Milano sfileranno in prima fila gli uomini dei principali partiti. Togliatti dice: le donne no. Erano ragazze che avevano condiviso la montagna, considerate delle ‘poco di buono’. Le donne di Giustizia e Libertà decisero di sfilare lo stesso. Non in prima fila
[Resistenza, Lidia Menapace: Le donne della montagna considerate delle “poco di buono” – Cristina La Bella – 25 Aprile 2020]

Lucia Ottobrini … al momento di essere decorata con la medaglia d’argento al valor militare dall’allora ministro della difesa Taviani è la protagonista di una scena rivelatrice: “Stavo insieme a due ufficiali dell’Aviazione. Mi prese per la vedova di un combattente e mi disse gentilmente: “Lei signora di chi è la moglie?”, pensava fossi la vedova di un decorato. Gli feci: “La decorata sono io”. Il maschilismo affiora persino nella motivazione del decreto di conferimento della medaglia che quel giorno riceve: “Con coraggio virile non esitava a impugnare le armi battendosi più volte a fianco dei compagni in lotta”
[L’estate che imparammo a sparare: Storia partigiana della Costituzione – Giuseppe Filippetta]

Sicuramente molti altri esempi si potrebbero fare, ma credo che questi siano ben rappresentativi.

Pubblicità maschilista

Ovviamente i tempi erano diversi. Non si concepiva il ruolo della donna al di fuori di quello che si considerava per lei “naturale”. Famiglia, figli, cure domestiche e parentali. Regine della casa, di sani princìpi, in attesa dei loro prìncipi.
Con le lotte degli anni sessanta e settanta il nuovo diritto di famiglia ha ratificato il pieno Diritto delle donne ad essere persone non sottoposte a tutela maschile (con diritto di vita e di morte fino al 1981), per poter decidere di essere chi vogliono in maniera autonoma, cioè ad autodeterminarsi, ma, spesso, “cambiando l’ordine dei fattori il prodotto non cambia”.

Ogni quindici minuti una donna è vittima di violenza, e, di media, di omicidio ogni tre giorni, sempre per mano maschile. E non da estranei, ma da chi amano o hanno amato. Compagni o ex, fratelli, figli, conoscenti. Della serie “l’assassino ha le chiavi di casa. Non ho considerato il rapporto degli abusi psicologici e delle costrizioni.

In questo periodo parlare di lavoro è tema delicato, molto. Ma a proposito di cure parentali, proviamo a indovinare in caso di difficoltà chi deve rinunciare al proprio lavoro? Le donne, madri, infermiere, badanti, insegnanti. Il motivo è semplice. Nella coppia la scelta di chi deve mantenere la propria occupazione è dettata dal ritorno economico. A parità di mansioni il divario salariale, o “gender pay gap“, è di poco meno del 25%. Questo incide pesantemente sulla loro autosufficienza. Non va meglio per le pensioni. Non esiste più la “pensione sociale”, che stabiliva comunque un diritto minimo alla sopravvivenza (da fame) e la rinuncia al lavoro ha come conseguenza che o non hanno contributi versati o non ne hanno a sufficienza per una pensione contributiva minima. A meno che non integrino con contributi volontari. Mi chiedo, ma il lavoro che è stato loro precluso lo troveranno in età avanzata? Invece, con “soli” cinque anni di contributi possono andare in pensione a settantun anni. “Campa cavallo” che il campo è arido. Altrimenti possono chiedere l’assegno sociale. Povere tra i poveri.

È solo un piccolo spaccato di società al femminile che le nostre compagne partigiane non avrebbero immaginato. Sognavano un mondo migliore anche per loro, ma quel mondo pare sia ancora lontano.

Dimostrazione femminista 1914
02-Dimostrazione femminista a Parigi nel 1914_on_5_July_1914_-_Le_Figaro

E non venitemi a dire che “il femminismo è di parte”. Sarebbe come dire che le lotte dei neri, degli schiavi, contro la guerra, le lotte di Liberazione dei popoli lo sono.

Il femminismo non è l’antitesi del maschilismo. Il femminismo è un movimento di liberazione.
Mentre il maschilismo si identifica in ciò contro cui le donne si battevano, patriarcato, militarismo, sessismo, omofobia, che sono tutte facce di una medaglia che ha da sempre considerato la donna, e chi non rientrava nei “canoni”, come “subordinata”, vincolata dalla sua stessa “natura”. Sposa, madre, regina della casa. Le disparità sociali che ancora esistono sono un retaggio duro a morire.
In realtà sarebbe più esatto parlare di femminismi, che si distinguono nelle varie epoche storiche e nelle varie tendenze politiche, ma nella sostanza, le rivendicazioni vertono al riconoscimento come persona autonoma, libera di decidere della propria pancia e della propria vocazione. Le donne rivendicano un trattamento paritario, nel rispetto delle loro differenze e delle loro scelte. Femminismo è plurale.

Manifestazione femminista 1977

 

 

Mi è capitato di leggere l’assurda pretesa delle donne di destra, estrema, di dichiararsi “femministe di destra”, oppure ribattezzare il movimento “questione femminile”. Questo cozza con l’origine del femminismo stesso.
Rivendicano il ruolo “naturale” della donna tutta dio, patria e famiglia, che è poi quello che il femminismo combatteva. Alla “pubblica morale” si opponeva la libertà sessuale (io sono mia e decido io, aborto compreso), alla famiglia tradizionale (con un padre padrone) l’autodeterminazione, al patriottismo (in simbiosi con il militarismo) l’internazionalismo del movimento stesso.
No, mi dispiace, chiamatevi come vi pare ma femministe NO.

Le partigiane erano femministe di fatto, non certo quelle che sostenevano il regime nazifascista che erano esse stesse il nemico. Non lo erano allora e non lo sono oggi.
Oggi le partigiane sono le donne curde, sono le donne che combattono contro i sistemi oppressivi, con o senza armi se non la loro consapevolezza, sono le donne come Franca Viola, come Ilaria Cucchi, come le donne di “non una di meno”, come le donne che si battono contro l’omofobia, sono le donne che si battono per la parità salariale, sono quelle che lottano per un posto di lavoro dignitoso, sono quelle che muoiono sfiancate dal lavoro, sono le donne che, anche da sole, combattono contro una società che le vorrebbe arretrare in ruoli in cui stanno strette, sono le donne Resistenti.

Buon Primo Maggio e buona Resistenza.

Tiade

Liberazione e retorica

Partigiano impiccato25 aprile 2020 – 75° anniversario della Liberazione dal nazifascismo

SCRIVERNE O NO?
Aver qualcosa da dire

Stavo riflettendo se scriverne o meno un articolo . Ero molto indecisa perché mi dicevo “è già stato scritto tutto”. Pensavo di non aver niente da dire se non le solite frasi retoriche.

Intanto seguivo su la 7 “Propaganda live” e mi dicevo “quanto sono bravi, preparati, intelligenti, quante cose hanno da dire che io forse non saprei esprimere”.
Mentre io guardavo Propaganda Delfo, che seguiva “Piazzapulita”, mi ha passato un video di Stefano Massini dove racconta la storia di un partigiano, uno dei tanti massacrati di botte dai fascisti. Uno dei tanti che ha “toccato con mano”, o meglio, che “è stato toccato”.
Ma quello che mi ha colpito sono state le sue considerazioni, e sono state queste considerazioni che mi hanno convinta a scrivere perché anch’io ho qualcosa da dire, qualcosa da ricordare.

LA NON RETORICA
La storia è memoria

Massini ha citato un libro che anche io amo molto, anzi è stato quello, l’ultimo che ho regalato a mio padre, che ha fatto sì che non sia pi più riuscita a separarmi da un libro, anche i più banale: fahrenheit 451. Per chi non lo avesse letto, il libro racconta di una società in cui i libri vengono bruciati ed è reato possederli. Chi trasgredisce viene perseguitato da “pompieri” con i lanciafiamme.

Allora la Resistenza, ché dove c’è oppressione c’è sempre Resistenza, fa sì che le persone si trasformino in libri. Ogni persona è un libro che impara a memoria affinché possa essere tramandato ai posteri.
Accolgo l’esempio di Massini e lo faccio mio. Anche io voglio essere una donna-libro, perché, come mi insegna, non è retorica la memoria.

VITTIME E CARNEFICI
Distinzioni dovute

Forse nelle scuole non se ne parla più tanto o non se ne parla abbastanza, forse non è ben chiaro da cosa ci siamo liberati, e non solo noi, ma tutti i paesi che si sono rivoltati a un potere fatto di violenza e di sopraffazione, colpevole di avere trucidato milioni di persone nei modi più orribili. Il nazifascismo non era un’idea politica, ma bestialità allo stato puro.
Chi oggi si riconosce nel 25 aprile è erede di una strenua Resistenza che ha rifiutato l’orrore.
È questo il principio che andrebbe insegnato, che andrebbe ricordato a partire dalle scuole elementari, così come a noi è stato insegnato. Conservo ancora un libro che la Città di Milano ci consegnò in terza elementare, un libro ormai consunto che parla della Resistenza, che riporta date, storie e disegni. Un libro che andrebbe ristampato e distribuito e non solo a scuola.

LAGER E PRIGIONIERI POLITICI
Il martirio di un “No”

reichspfennigLa storia che voglio tramandare è quella di mio padre, internato nel campo di Trier, dove i prigionieri erano usati per spaccare pietre venendo poi “ricompensati” con una sorta di moneta interna (reichspfennig) che non avrebbero potuto spendere altrove. Dei piccoli foglietti di carta che riportavano, oltre al simbolo nazista, il triangolo rosso dei prigionieri politici.

Perché nei lager non finivano solo zingari, ebrei, minorati, omosessuali, ma anche chi si opponeva e coloro che si erano rifiutati di abbracciare un sistema partorito da menti che oggi verrebbero definite sociopatiche criminali, la cui unica divisa avrebbe dovuto essere la camicia di forza.
Quei “soldi” venivano scambiati con razioni di ciò che solo la fame riusciva definire pane. Un miscuglio di segatura ma tanto prezioso quanto l’attaccamento alla vita.

LA MEMORIA
L’empatia all’inferno

Da quel campo mio padre riportò un piccolo strumento forse banale agli occhi dei più, una piccola bilancia ricavata da pezzi di legno uniti da fil di ferro. E per quanto rudimentale è precisa, molto precisa.

Era, e rimane, un oggetto prezioso, una testimonianza storica che, non so come, è riuscito a salvare e che teneva in un bauletto di legno chiuso con un lucchetto cifrato.
Quella bilancia serviva a condividere il “pane” anche con chi non era in grado di procurarselo. Dividerlo in parti precise, uguali per tutti, anche ai moribondi.
Come riporto nel mio racconto precedente, “L’ultimo pezzo di pane”, Piero Caleffi narra una storia che io invece possiedo. Quella bilancia rappresenta la solidarietà, l’umanità che il nazismo, per quanto ci abbia provato, non è riuscito a piegare.
E questa non è certo retorica.

OGGI
Ci riprovano, occhio

Oggi stiamo combattendo contro un nemico invisibile, non certo paragonabile. Ma da tempo assistiamo, ovunque, ad un pericolo ben più grande. Il ripresentarsi di quelle idee che già sono state combattute e vinte. La tracotanza, il razzismo, la violenza verbale e fisica, sono tratti distintivi e ben riconoscibili in questi soggetti che negano la storia ma al contempo vorrebbero riviverla.

La nostra resistenza alla pandemia non deve farci dimenticare la Resistenza di cui siamo gli eredi. L’antifascismo è il motivo della nascita di questa Repubblica e la nostra Costituzione lo esprime chiaramente. Per questo motivo, chiedere di commemorare in questa data le vittime su entrambi i fronti non è proponibile. Chi vorrebbe cancellare questa ricorrenza è l’erede di quei carnefici e non possono essere, come molti vorrebbero, unificati nella memoria, perché vittime e carnefici non sono uguali.
La libertà di cui oggi godiamo, di criticare il governo, quale che sia, di pretendere il lavoro, di pretendere la sanità pubblica, di pretendere la scuola pubblica, di dibattere in pubblico, di sparare cazzate, di parlare come un fascista, che piaccia o no, la dobbiamo alla Resistenza, alla vittoria contro l’orrore. Non possiamo, non dobbiamo permettere che la storia si ripeta.
La storia e la memoria ci ricordano quali sono le conseguenze di certe idee che forse allora hanno trovato molti impreparati e stupiti.
Oggi, che sappiamo, l’ignavia non è scusabile!

Il mio saluto a chi avrebbe voluto festeggiare e subisce in qualche modo il periodo di pandemia, Buona Resistenza.
Per chi invece ha da obiettare, non riconoscendosi in questa ricorrenza, mi associo al saluto finale nel video di Stefano Massini.

Tiade

Sole e terremoto

Sole alone TiadeTra tutti gli accidenti (vedi qui e qui) qualcosa mancava. E mi pareva strano.
Il terremoto.

Lo abbiamo sentito, lo abbiamo sentito benissimo.
Le mura di pietra “mugghiavano”, non so come altro definire il rumore, e tremava tutto. Io compresa.
Pochi secondi ma sufficienti a rendersene conto.
Con Delfo ci siamo guardati in faccia:
-Il terremoto… Mancano il diluvio e un asteroide e siamo al completo, in piena crisi biblica.
Il tempo di dirlo ed era già finito.
Da ieri sei scosse, ma solo quella di stamane delle undici e mezza circa si è avvertita e molto bene.
Tutta la casa ha tremato, come la cassapanca su cui ero seduta, la credenza con le suppellettili e un po’ anche i nervi.

A proposito di terremoti, per chi non lo sapesse, sul sito INVG, se non ricordo male Istituto Nazionale di Vulcanologia e Geofisica (nel caso mi si corregga), è possibile segnalare se si è avvertito un terremoto compilando un questionario dove vengono richieste alcune caratteristiche dell’osservazione. Pratica utile ai vulcanologi per stilare statistiche più esatte sugli effetti e sulle zone specifiche.

Passata la paura esco sul balcone a ritirare il bucato e guardo il cielo.
Che spettacolo, il sole nel pozzo.
Non è una giornata limpida e nel cielo grigio azzurro si vedeva distintamente un cerchio luminoso che circondava l’astro.
Un arcobaleno di ghiaccio.
È un fenomeno che ho già visto in una splendida notte di luna piena, da qualche parte ho anche le foto ma non chiare come questa.
I messaggi che mi sono arrivati chiedevano se la cosa fosse collegata con il terremoto. Ebbene no, anche se a volte i terremoti possono associarsi a fenomeni luminosi, in questo caso è solo colpa del ghiaccio in alta atmosfera. Sono le piccole particelle di ghiaccio che rifrangono la luce proprio come l’acqua negli arcobaleni classici. In particolari condizioni l’alone può anche essere colorato.

Oppure è lo gnomo che ha chiuso l’arcobaleno nel pozzo per non farsi rubare il tesoro.
Sorrido.

Una frana infinita

FranaEccomi qua.
È difficile riprendere il filo dopo nove mesi, praticamente un parto.
Sono stata giorni con il foglio bianco indecisa su cosa scrivere, e se scriverlo.

A Marzo dello scorso anno pensavo che la sequela di “imprevisti” fosse finita e fosse solo questione di tempo e pazienza.
Poiché da più di un anno non lavoravo per sottopormi a una serie di esami per affrontare un intervento abbastanza antipatico, ho chiesto il Reddito di cittadinanza, confidando di usufruirne per non più di sei mesi. Contavo di riprendere il lavoro, pesante ma necessario, appena fossi stata in grado.

Nel frattempo Delfo, il mio informatico preferito nonché mio figlio, è riuscito a mettermi insieme un portatile, limitato ma funzionale, mi sono decisa a comprare un cellulare che potesse connettersi, ché anche la “saponetta” si era fusa insieme a tutti i pc dell’ufficio e ho trovato finalmente una stamperia per i libri. Mancava solo Delfo che, nei ritagli del lavoro che sta cercando di mettere in piedi, trovasse il tempo di spostare il sito su un altro hosting e riattivare le mail. Il box nuovo per l’hd esterno e i certificati per il sito avrebbero dovuto aspettare.
Insomma, con una piccola spesa di taxi sarei potuta tornare a casa mia, una valle e qualche colle più in là, a riannodare i fili spezzati.

Avrei… a condizione che a metà Dicembre non fosse caduta una frana. Son usa camminare, sia per scendere da casa mia fino a valle che da casa di Delfo che è servita da rari autobus. Ma la frana ha reso il tragitto impraticabile e gli autobus sono stati del tutto soppressi. La maledetta è ancora là e il problema non sarà di breve soluzione.

Panorama dal satelliteAlternativa, strade sterrare impercorribili ai taxi e troppo lunghe a piedi. Lunghissime.
Per fortuna gli amici di Delfo si erano resi disponibili, bastava aspettare che mio figlio incassasse compensi ritardatari, rendendolo finanziariamente autonomo, e sarei potuta rincasare.
Già, se per le feste di fine d’anno non fossi finita in ospedale scongiurando un intervento diverso da quello programmato.
“Ok, questa è l’ultima, DEVE essere l’ultima, poi torno a casa” pensavo.
Pia illusione, uscita io, Delfo, invidioso, ha preso il mio posto con una crisi asmatica. Mica potevo lasciarlo solo.
E si arriva a fine Gennaio di quest’anno.
Metto insieme le mie carabattole, aspetto che Delfo rientri e mi metto d’accordo con gli amici automuniti per partire armi e bagagli decisa a non arrendermi.
Due anni di mazzate colmavano la misura, credevo. Che altro poteva succedere?

Quasi non ci credo.

Una pandemia con tanto di coprifuoco!
Amici in quarantena e noi definitivamente isolati, entrambe le abitazioni in zona rossa, distanti tre comuni e in due regioni diverse.
Prigionieri.
Come se non bastasse mi è stato drasticamente decurtato il reddito.
Mi sa che mia madre aveva ragione: -Hai pisciato nel battesimo-

Tabarro Morgana
Tabarro Morgana – Tiade

Stop alla pubblicazione dei libri, stop ai quadri, ai tabarri, all’orto e a tutti quei progetti che avevo in cantiere. Riprogrammare l’intervento manco a pensarci!
Mi consola solo il fatto che nel biennale rosario di sfighe abbiamo avuto un discreto colpo di fortuna. Nonostante la lunga frequentazione in ospedale ne siamo usciti indenni. Per ora, e lo dico a bassa voce.
Nel frattempo le notizie si rincorrono veicolate da un linguaggio bellico che trovo inadeguato, di certo è un periodo di Resistenza.
Molti hanno perso i propri cari senza il conforto dell’ultimo saluto, molti stanno lottando, dentro e fuori dai letti, molti, sempre troppi, non si rendono ancora conto mentre troppi perdono la loro personale battaglia.
Sì, lo so, è un articolo “alla via così”, come mi frullava in testa, ma anche io ho paura, come tanti, soprattutto per Delfo, uomo asmatico ad altissimo rischio, che deve scendere a piedi e attraversare la frana semplicemente per andare in framacia. Per la spesa idem. Sono terrorizzata.

Mi sento immersa in una società distopica in piena crisi apocalittica. Non so come evolverà la storia, personale e generale, non so come ne usciremo. Di sicuro non tanto presto.

Il pane di TiadeNel frattempo continuerò ad occuparmi dei gatti, a fare il pane, a pubblicare sul sito, a supportare Delfo come posso, a inventarmi soluzioni cercando di Resistere, attività a cui ormai sono allenata. E non riesco a far finta che “tutto andrà bene”.
Devo attingere a tutte le mie scorte di pazienza e resilienza, persistendo negli intenti possibili ma senza aspettative.
E non posso nemmeno, come fanno tanti autori, chiederti di offrirmi un caffè. Non saprei dove andarlo a bere.
A chi ha avuto la pazienza di leggermi arrivi il mio augurio, sentito.
Ad maiora. Tiade

L’uovo di san Giovanni

Uovo di san Giovanni

È strano come certi ricordi d’infanzia restino più impressi di quello che si è mangiato il giorno prima. A volte basta un piccolo particolare perché quel preciso ricordo riaffiori senza confondersi con nessun altro. Un profumo, una parola, un’immagine.

Tutti gli anni, il 24 giugno, non posso fare a meno di ricordare quando, da bambina, andavo in vacanza con i miei genitori presso una signora a Sturla (Genova).
La bella casa aveva un lucidissimo pavimento in graniglia che sembrava più un mosaico romano che un pavimento moderno. Con il suo fondo scuro, arricchito di arabeschi dorati, tutt’ora lo ricordo come uno dei più bei pavimenti che avessi mai visto.

Ricordo la padrona di casa, genovese doc, e di come mi incantassi ad ascoltarla quando parlava al telefono con chi sa quale interlocutore. -“Sci, sci, alua”- erano le uniche parole che intuivo seguite da una sfilza in genovese stretto di cui coglievo solo la musicalità della stupenda lingua.

Fu lei ad insegnarci l’antica tradizione dell’uovo di san Giovanni.
Ricordo che la sera del ventiquattro Giugno prese un vaso trasparente, lo riempì di acqua e vi buttò una chiara di uovo. Lo lasciò esposto tutta la notte all’aperto e al mattino del giorno dopo, osservando le forme che l’uovo aveva creato nell’acqua, ne trasse gli auspici. Ci raccontò che era una tradizione antica che si tramandava nella sua famiglia da generazioni.
Non sempre mi ricordo di farlo, ma quando trovo il tempo, e un vaso capiente, ripenso alla signora Egizia e faccio il mio uovo di san Giovanni.

Come qualche anno fa quando si è formata quella che sembra una figura con una lunga veste e un’altra figura più piccola di fronte. Dietro di loro sembra di scorgere due alberi dalla grande base, il fusto esile e delle grandi chiome rade. Di solito ne risultano motivi che sembrano delle vele o una barca, e io non saprei trarne auspici, ma quello che ne è uscito era talmente particolare che l’ho fotografato.

Quest’anno se me ne ricordo, e se trovo un vaso sufficiente visto che non sono a casa mia, ci riprovo. Se ne esce qualcosa di altrettanto bello prometto che pubblicherò le foto.
Difficilmente chi mi legge commenta, ma sarei curiosa di sapere se conoscevate questa tradizione e se avete mai fatto l’uovo della notte di san Giovanni.

Era di Maggio…

Illustrazione Italiana 1898 - Sigaraie lasciano il lavoro Pubblico dominio - Luca Comerio (1878–1940)
Illustrazione Italiana 1898 – Sigaraie lasciano il lavoro
Pubblico dominio – Luca Comerio (1878–1940)

Per la festività del Primo Maggio volevo contribuire con un articolo, ma tanti saranno gli articoli più inerenti di storia e di rabbia per la festa dei lavoratori, e non del lavoro che non è un soggetto.

Ma di questi tempi il lavoro è scarso e quando si cantava “se otto ore vi sembran poche, provate voi a lavorar” non si pensava certo che si sarebbe ritornati a lavorarne anche quindici in condizioni che definirei disumane.
Qualsiasi cosa dica rischierebbe di avere il sapore della retorica, ho deciso così di contribuire a modo mio rispolverando un racconto breve, che fa parte di una serie dedicata alle donne sparse tra le epoche e la storia, che prende spunto dalla “Rivolta del pane” di Milano del 7 Maggio 1898 soffocata nel sangue dalle cannonate del generale Bava Beccaris.
La maggioranza dei rivoltosi: donne e ragazzi.

Storie al rogo
Era di Maggio

Era di Maggio, e fiorivan le rose.

Ma le sue mani non sentivano le spine.
Mani callose, ingiallite e tagliate dalla canapa.
Come una Parca intrecciava corde, mentre i fili della sua vita si scioglievano.
E il salario non bastava mai, non bastava per tutto, non bastava e basta.
Moira, detta Pincinella, ricordava ancora le parole di Anna, Anna con quel nome strano, straniero, ma che parlava una lingua che lei capiva.
Eccome se la capiva.
Ecco perché era lì. Perché aveva capito.

In piazza quella volta voleva esserci anche lei. Vedeva altre donne poco lontano, eran mondine, la tosse le tradiva, e più in là alcune tabaccaie con la pelle ingiallita.
Questo non è il giorno“, qualcuno disse . “E quand l’è ch’el vegnarà donca el dì?” chiese un operaio.

Per lei venne quel giorno stesso.
Era domenica e fiorivan le rose, e il fuoco la colse di sorpresa.
Il fuoco dei cannoni di Bava Beccaris respinse la folla, ma lei il sangue non lo vide mai.

C`è chi dice che solo la sua ombra, staccata dal corpo in un ultima magia, sia sopravvissuta al rogo e vaghi in cerca di una nuova Pincinella nei secoli a venire.
E c`è chi giura di averle parlato.

Tiade 18 maggio 2007