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Mi sento un'iper sfera

12-12-1969 – La fila sbagliata

piazza fontana - imm. pubbblico dominio
Bomba in piazza Fontana – Immagine di pubblico dominio

Faceva un freddo cane, ricordo l’umidità gelida nelle ossa che un cappotto non riusciva a riparare. Lavoravo solo da quattro mesi, troppo pochi per non fare sbagli. Fu così che, dietro incarico del proprietario del negozio dove lavoravo, mi recai in banca a sbrigare una commissione. Da via Fatebenefratelli la Banca Nazionale dell’Agricoltura più vicina era quella in piazza Cavour. Mi sembrava la cosa più logica fare la fila lì.
Mentre ero in coda pensavo che solo un mese prima lavoravo in Rinascente, mi piaceva, avevano appena aperte le vetrine sotto terra (per me scendere un piano fino al metro’ era già sotto terra). Non era un bel periodo ed io ero giovane. A quindici anni le bombe fanno paura e di bombe ne giravano in quel periodo. Il pericolo si percepiva respirando e la minaccia continua di saltare per una bomba non faceva lavorare tranquille. Durante i tumulti i cancelli pur pesanti cadevano sotto la pressione degli scioperanti ma un’apprendista non poteva scioperare, pena il licenziamento, ed io non potevo permettermelo. Fu per quello che me ne andai sperando in un ambiente più tranquillo anche se meno interessante.
Riflettevo all’opportunità forse persa quando finalmente fui allo sportello e lì, un po’ imbarazzata, scoprii che avevo sbagliato, dovevo andare alla sede centrale in piazza Fontana, e magari con i documenti.
Me ne uscii un po’ sconsolata, pensando alla figura da tonta e alla fila che dovevo rifare, al freddo e al mal di schiena, ritornando su via Fatebenefratelli, dov’era il negozio, per prendere i documenti.

Dalla questura, un paio di portoni più avanti, stavanno uscendo auto in massa a sirene spiegate, arrivavano da tutte le parti e il suono delle sirene riusciva quasi a coprire il frastuono della città. Non capivo e non immaginavo. Non ero abbastanza “smaliziata” per capire.
In quella che è ricordata come “la strage di piazza Fontana” i morti furono diciassette e ottantotto i feriti gravissimi.
Io non ero tra quelli.

Oggi so che la mia sbadataggine, la mia ingenuità, mi hanno salvato la vita nella “fila sbagliata”.
Solo tre giorni dopo, a pochi metri dal negozio dove lavoravo, l’assembramento fu per Pinelli.
Smisi di lavorare in centro spostandomi in un grande magazzino più vicino a casa. La situazione non cambiò poi molto.
La paura è qualcosa di irrazionale ma è uno degli istinti più forti della specie.
Smisi di lavorare. Mi rifugiai nella notte milanese degli artisti vivendo di lavoretti manuali saltuari.  Invisibile tra gli invisibili.
Ripensado a quel giorno ho netta la percezione del “frastuono nel silenzio”, nessun commento di meraviglia, nessuna imprecazione, stavano tutti zitti, come di fronte ad un morto dopo una lunga agonia.
Fra le tante immagini ho scelto quella del buco provocato dalla bomba perché meglio di tutte simboleggia un buco nella nostra storia e forse meglio di tutte può dare l’idea della violenza dello scoppio.
Ogni tanto ripenso a quella “fila sbagliata” e a come a volte l’ingenuità ci possa salvare la vita.
Tiade, 12 dicembre 2013

p.s. Ringrazio il fotografo, di cui non ho trovato il nome (se vi è noto vi prego di postarlo nei commenti), che ha reso la fotografia di pubblico dominio, ché una storia così pesante non può essere una questione privata.

Intorno a me oggi vedo eventi che mi spaventano, spero solo che i tempi che viviamo non si ripresentino con una nuova e più terribile “strategia del terrore”, da qualsiasi parte provenga.
Con questo articolo intendo raccogliere l’invito agli intellettuali e agli artisti (nel  mio piccolissimo) a prendere posizione contro le recrudescenze nostalgiche per le svastiche e il dilagante razzismo che le disparità sociali alimentano.

Prendo in prestito le parole di mio figlio, undicenne, in un saggio per l’esame di terza media sulla Resistenza. “La grave colpa fu l’ignavia di chi vedeva e non interveniva. Questo portò alle leggi razziali con le conseguenze che tutti conosciamo”.
Siamo di fronte ad una migrazione di massa, come nella nostra specie è sempre avvenuta, per le condizioni sociali e climatiche che sono indubbiamente colpa dell’essere umano. Quella umana è una Specie ove non esistono razze, come nei cani e nei gatti, e il sangue ha sempre lo stesso colore.
Dovremmo ricordarcene nel momento in cui ci prepariamo a festeggiare il nuovo anno, sperando sempre che sia migliore e più consapevole di quello passato.

17 dicembre 2018

Tardissimo

Neve  novembre 2018Avolte mi sembra di essere il bianconiglio di Alice: –Sono in ritardo! In arciritardissimo!
Spero di riuscire a finire il libro per Natale, ma manca la copertina.
Devo creare l’immagine, che sembra facile. L’ho in testa, ma quando mi metto a disegnarla non mi piace. O meglio, mi piace l’idea, è coerente col testo, ma sono maledettamente pignola. Ne avrò già fatte dieci versioni e mentre la faccio sono convinta, poi la guardo e la mia indole insicura le scarta tutte.
Ma tu butta lì, sei lenta. Era meglio la primaaaa!
Sì Delfo, sarò lenta ma l’immagine è importante.
Non parliamo poi delle font. Per il testo non ho problemi, ho scelto un carattere classico, il Baskervald, ma la copertina ha esigenze diverse come la leggibilità a distanza e non esser troppo arzigogolata.
Resta poi da contattare la stamperia che deve darmi le dimensioni della costola e chissà quanto tempo perderò ancora.
Poi ci sono i quadri, per ora non grandi, la mia macchina fotografica non permette grandi dimensioni, come vorrei. Dovrei mettere una signora macchina fotografica nella letterina per Babbo Natale, se solo credessi a Babbo Natale.
Vogliamo poi prendere in considerazione la quotidianità?
Mangiare quando si è sul punto di svenire forse non è il massimo. Dormire sulla panca un paio d’ore, quattro al massimo, forse non è proprio salutare. Lasciamo perdere i piatti da lavare, si mangia nel pentolino. Le lavatrici? Ho svuotato l’armadio e riempito la lavanderia.
Unico motore il caffè. Tra me e Delfo, nelle notti insonni, ne scorre a litri, e non esagero. Caffettiere da sei a iosa.
Si farà il bucato, si mangerà come si deve, ma adesso c’è un lavoro da finire e cascasse il mondo ci riuscirò.
Le critiche, che spero arrivino, mi permetteranno di migliorare, di aggiustare ciò che non va, poi.
Parole inutili se non finisco, indi, mi rimetto al lavoro sperando di non fare una ciofeca.
Ora ci sta un caffè. Prossima notte in bianco.

Nell’attesa, godetevi l’immagine della nevicata del 28 novembre del 2008. Quest’anno ancora non si è vista, la bramo e la temo.
Se arriva sono nei guai. A presto.

La lunga notte

La lunga notte - animazione
Q
uattro mesi di assenza, cercare di riprendere il filo e non riuscire a scrivere per giorni.
Scrivere e cancellare, riscrivere e ricancellare.

In realtà avevo iniziato paragonando questi mesi di assenza a un uragano, ma la cronaca mi ha preceduta in tutta la sua tragedia e non me la sono più sentita.

Sono successe un sacco di cose, non belle da raccontare, che hanno sconvolto l’esistenza di tutti. Mesi e mesi di viaggi, notti a veglia con il cuore stretto in una morsa, aspetti la Regina della Vita con rassegnazione, pervasa dalla pietà per il dolore che l’accompagna, in silenzio e con rispetto, conscia della sua imparzialità.
Quello che non ti aspetti è di essere catapultata in una realtà separata, tra la notte di Calemda (Halloween) e il due Novembre, precipitare in tre giorni di terrore puro degni di un racconto di Poe.
Tre giorni vissuti come in un incubo allucinato che mai avrei pensato di vivere.

Le notti a veglia tra fantasmi del passato, spettri del presente e la paura di cedere per non poter sopportare tanto orrore.
Catapultata in un oscuro medioevo, la notte infinita dove la civiltà non è arrivata, tra cerusici, beccamorti e usanze tribali. Inutile cercare di svegliarsi, dalla realtà non si scappa.

Adesso devo, dobbiamo, cercare di rimettere insieme i cocci, le idee e rattoppare gli strappi di un tessuto che non sarà più come prima.
Stringere i ranghi, fare corpo unico e ripartire.

C’è il sito da seguire, il libro da finire, magari per Natale, il lavoro da riprendere e i nuovi progetti da calibrare.
Ma nell’angolo remoto del cervello persiste un vago senso di disagio.
Non è un bel racconto, non fa sognare, ma gli esorcismi servono a liberarsi, e scriverne è esorcizzante.

Alla prossima, e grazie a tutti per le visite e i graditissimi saluti.
Tiade

Ritornano

Ritornano rondini Tiade immagini

A volte ritornano.
Come le rondini a primavera.
Il sito è sparito per qualche giorno, colpa mia.
Chi mi conosce sa bene come la burocrazia non mi stia particolarmente simpatica, come alla maggior parte della gente, salvo che ai burocrati di professione.
Scendere a valle per organizzarmi per i pagamenti on line non è come scendere al bar sotto casa, anche perché non ho un bar sotto casa, tanto meno la banca. Solo cinghiali grugnanti e a volte qualche lupo girovago.
Cosa ancora più difficile è stata organizzarmi col mio Delfino, visto che è lui l’esperto, particella imprendibile e indeterminata.
Prima la banca con tutti i suoi codici, poi le carte, altri codici, poi il tentativo di recupero del sito in zona Cesarini, ancora codici.
Infine la parte informatica, pagine, hosting, conti on line, numeri, numeri e numeri ancora.
Codici, numeri, cifre, carte e tesserini. Li odio.
Date e scadenze, troppe cose da fare e tutte insieme.

Per una come me, per cui la freccia del tempo è scandita dalle stagioni, il risveglio dalla luce dell’aurora, visto che non ho messo le persiane, la merenda dallo stomaco che chiama, è tutto innaturale, inconcepibile, snervante.
Gli unici numeri che mi piacciono son quelli degli esercizi di matematica che ancora faccio, a volte, giusto per non considerare sprecato il tempo della scuola. Almeno con quelli si può giocare.
Non posso che ringraziare Delfo e la sua (poca) pazienza, senza di lui sarei persa.

Mentre scrivo guardo i garruli balestrucci che mi frullano davanti alla finestra e si posano incerti sui fili della corrente.

Aspettano la mamma per l’imbeccata e quando la vedono arrivare si agitano, frullano l’ali e spalancano i becchi in attesa, poi si fanno coraggio e spiccano brevi voli per riposarsi subito dopo.
Partiranno a settembre, abbastanza forti per fuggire dal freddo cercando al sud terre assolate. Si poseranno a uno a uno sui fili, si chiameranno all’adunata e a un cenno convenuto spiccheranno il volo tutti insieme.
A volte ritornano.
Li invidio.

Quando e quanto il Quanto?

Quanto - gif animataHo creato un mostro.

Il mio informatico preferito è una particella subatomica, il gatto di Schrödinger.
Un “quanto” di luce che non coincide con la realtà relativa del mio tempo, che già è parecchio relativo di suo.
Impossibile determinare la sua esistenza e allocazione nell’Universo Spazio Temporale che compone la mia realtà, svanisce, trasformato in Materia Oscura, rilevabile e rilevante, ma non tangibile.
Quando pensi di averlo preso non c’è già più.

Le poche volte che lo incrocioo so di avere i millisecondi contati. Gli parlo al telefono, si disintegra la batteria, lo becco in chat (inutili gli appostamenti che si rende invisibile) ma le risposte paiono dover attraversare gli spazi siderali, prendiamo un appuntamento ma si perde in un viaggio nel tempo, poi appare all’improvviso, come una supernova, fulmineo, e altrettanto fulmineamente sparisce.
Comunicare è un’impresa. Documenti da scambiarsi? Tanto non li aggiorna. Drive? Fa la muffa. Mail? Non le legge che a gruppi, una volta ogni tre mesi.

Anche far coincidere gli orari mica è facile. Io sono un gufo, ma lui è un pipistrello, tira l’alba, quando io mi sveglio. Oddio, non è che entrambi dormiamo poi molto, anzi.
Troppe son le cose da fare che senza di lui non si fanno, sarebbe come eliminare il nucleo dall’atomo. Troppe cose ho fatto mentre sedimentavo di cui non sa un bosone, e dovrebbe saperle.
Non a caso due delle tre parole dell’anno erano Delfino e Pazienza.
Ma io ho fretta, il livello pazienza è in riserva da anni, ho finito il carburante. Va a finire, che mi arrangio, e faccio pasticci, ché son bravissima a fare pasticci.

Intanto che aspetto, “mugino”, il che vuol dire che “mi giro i film”, i miei pensieri scorrono per immagini, come sempre. Sorrido.
Produco.

Un’immagine vale più di tante parole, la quintessenza dell’Indeterminazione.
(Ciao Delfo)

Fil rouge, la scrittura

Tiade sito - Fil rougeEcco, di lavoro ne ho fatto tanto, mi prendo una pausa a notte fonda con un po’ di jazz.
Guardo le pagine aperte sul pc e ricollego il filo che le ha legate.
La posta, Drive, un sito che descrive le fasi di decomposizione dei cadaveri, che chissà come cavolo ci sono arrivata, un paio di ricerche Google, un notes, e le pagine di un sito tra un articolo sul marketing e uno su fb.
Un’altra scrittrice. Bene.
Poi leggo i commenti e riconosco un’altra scrittrice, della quale seguo il sito, che è a sua volta presente sull’unico altro blog che leggo.
Sorrido.
Ho tre, dico tre di numero, blog interessanti salvati tra i preferiti vari, e scopro che tutti e tre sono in qualche modo connessi.
Mi rendo conto che c’è un filo comune, ognuno con le proprie specificità, lo stesso che ha visto aprirsi questo sito.
Non credo che sia solo la promozione della propria scrittura, del libro, della competenza tecnica, e quanto altro.
Vedo invece che, indipendentemente dai risultati, a vari livelli, il bisogno di scrivere non si ferma. Si trasforma in pagine anche tecniche ma da cui traspare “la scrittura”. Il carattere, lo stile, la colloquialità, come colloquiale è un libro. Si trasforma in appunti, progetti, cose nei cassetti che premono, confronti.
È un’indole. Ora mi ci riconosco, posso anche accettare l’appellativo di scrittrice, che mi era un po’ ostico, perché è quello che faccio insieme ad altre mille cose. Scrittrice, anche.
Non so cosa riuscirò a fare con questo sito, tecnicamente sono molto indietro. Se il mio informatico preferito non si da una mossa a supportarmi andrò parecchio piano.
Vorrei poter già inserire il resto del materiale, i quadri anzitutto, e fb, sì, in qualche modo mi servirà anche senza presenza, vorrei finire quel libro di oltre 150 pagine a cui mancano solo le note e un paio di immagini, vorrei “finire” e cominciare a mettere a frutto tutto il lavoro messo in cantiere negli anni, o almeno provarci, mentre cerco di rimettere in piedi il “resto”, che preme.
Intanto, anche io come tutti, curioso, mi rifletto e rifletto, scrivo, cerco e ogni tanto appunto.
Non posso che mettere in pratica le tre parole dell’anno che mi ero ripromessa.
Pazienza- se non puoi cambiare adattati:
Delfino- ma ‘ndo vai se l’informatico non ce l’hai?
Ordinare- mi ordino di mettere ordine.
A presto, spero.

Imbranata, blog e paradiso

Allucinata gif animataSon proprio imbranata.

Anni fa avevo aperto uno spazio su Altervista, sperando di riuscire a gestirlo da sola. Poi, per impegni impellenti che si sono sovrapposti, ho lasciato perdere.
Ieri mi son messa in testa che avrei potuto usarlo per fare un po’ di prove, esercitarmi per cogestire il sito insieme al mio informatico e alleviargli un po’ di lavoro, almeno sulle cose di base.
Piena di entusiasmo, cerco la password e rientro nel mio appartamento in affitto. Mi metto di buzzo buono. Bene, qui il menù di gestione è molto più semplice di quello del sito, che bello, sarà facile. Comincio con creare categorie e pagine e poi il menù. Pare vada bene, pare.

Utopia. Mi ero di gran lunga sottovalutata.

Riesco a creare il caos che manco l’entropia.
So gestirmi tra cose che per i più sarebbero ostiche, navigo tra gli spazi siderali, gioco di magia con erbe ed unguenti, faccio concorrenza ad Atlante, creo con poco le cose che mi servono, letteralmente creo e non solo opere, navigo al buio che manco i gatti, forse perché sono orba e a non vederci sono abituata, salgo, scendo, viaggio, parlo “estero” dopo eoni che non lo parlo più, benedetta memoria, vivo come le mie ave agli inizi dell’ottocento, mi destreggio tra codici e codicilli, sbianco, muro, smartello, spacco, sego, coltivo…
Ma un blog preimpostato no, un misero blog che saprebbe gestire un bambino di dieci anni, quello no.
Non mette la presentazione nella sezione specifica, e nemmeno l’ultimo articolo che la home non vede. Smanetto, sposto, disfo e rifò.
Niente. Più che inserirsi nuove cose spariscono quelle già inserite.

Mi faccio un caffè, liofilizzato.
Non mi arrendo.

Clicco, sposto, leggo istruzioni, frugo, inserisco, cancello, smadonno in tigrai, reinserisco, controllo, rismadonno.
Mi impunto, rifaccio tutto daccapo, ci passo la notte mangiando una scatoletta e bevendo un altro caffè, sempre liofilizzato.
Niente ancora, non fa quello che dovrebbe, o meglio, quello che “io presumo” dovrebbe fare.

-Cazzo, per essere una cittadina ti riesce meglio l’orto!- mi strillo ad altra voce.

Mi rassegno, aspetterò il mio Delfino, alle prese con gli hosting, ché mi spieghi dove ho sbagliato, e se l’errore è rimediabile.
Passo ad altro ché il daffare non mi manca.
Magari, prima che venga buio che poi non ci vedo, potrei cominciare col ricaricare le taniche d’acqua per riempire il serbatoio, lavare le stoviglie che si sono accumulate, ho finito il pane per cui sarà utile farne almeno mezzo chilo, e magari un dolce semplice con uova, latte e burro.

E poi, poi, poi… scaldare i pentoloni d’acqua e riempire la vasca, anche senza portare la stufa in bagno che tanto non fa più tanto freddo, e concedermi un paradiso.
Musica zen, schiuma e incensi di sandalo, gemme, il tabacco l’ho finito, spuntino e liquorino, candele, e un libro. Un libro a cui concedersi che da tanto non leggo presa dal “fare”.

Il mio paradiso non può più attendere.

Buon paradiso.

Aggiornamento

Il paradiso è rimandato, ma sono fiera di me. Ho fatto un passo avanti.

Libri e Lumi

Libri e lumi

La scrittura non si sa di preciso quando e dove sia nata. Ogni popolo, fin dall’antichità, ha adottato un suo sistema per imprimere il suo pensiero da qualche parte, dalla pietra alla carta, al web, che fosse l’inventario delle greggi, la successione delle dinastie o un aforisma scopiazzato, sbagliato, e “postato” su un social.

Si trovano petroglifi, “stampe” di mani nelle grotte, testi sulla creta in scrittura cuneiforme, pergamene, rotoli in rame o in carta di papiro.
Svariati i materiali usati anche come “inchiostri”. Ocra, succo di bacche, carbone, oli e fuliggine.
Altrettanto varie sono stati gli strumenti per scrivere, dai bastoncini ai“timbri” di legno, dalle mani agli strumenti per incidere, fino alle penne d’oca che si usarono per vergare, in bella grafia, atti pubblici o romantiche lettere d’amore, che spesso impiegavano mesi, se non decenni, per giungere al destinatario.
“Scritture” realizzate alla luce di torce, lumini a olio, candele steariche, lampade a petrolio, e oggi, a quella fredda di un monitor.

 I libri, così come noi oggi li intendiamo, non erano certo alla portata di tutti, sia perché erano privilegio di casta, sia perché i più non sapevano leggere, sia perché per realizzarne anche uno solo ci volevano mesi, se non anni.
Erano scritti, e decorarti con raffinate miniature, da pazienti amanuensi. Quasi sempre però quei libri restavano nelle abazie a conforto di pochi.  Poi arrivò Gutenberg, che, se non ebbe quello di averlo inventato, sicuramente ebbe il pregio di migliorare il processo di stampa. Da quel momento divenne sempre più perfezionato e veloce, e le persone che imparavano a leggere sempre più numerose.
Insieme alla stampa presero vita anche i caratteri e gli stili, come quelli che oggi andiamo a cercare nel web e che chiamiamo “font”.

Tra i tanti stili di carattere in uso, sai perché il corsivo si chiama “italico” e chi l’ha inventato?

Puoi scoprirlo andando a leggere la presentazione del tipografo, nonché edtore, Giuseppe Antonelli, che ha pubblicato la prima traduzione italiana dell’Encyclopedie francese. Una serie di tomi realizzati in pieno illuminismo, contenenti lo scibile umano dei tempi, il cui spirito è ben palesato nell’intento di esser “utili ed a portata di ogni classe di persone”

 Il libro, insieme al sapere, viene sdoganato, esce dalla biblioteca di pochi privilegiati con la speranza di diventare per tutti, perché sappiano, perché si “illuminino”.
Uno spirito e un’intenzione più volte ribaditi in tutta l’opera insieme alla rivalutazione di quei mestieri considerati “umili”.
Da notare come sia cambiato il linguaggio in un arco di tempo non lontanissimo, un modo di esprimersi per noi abbastanza contorto, con parole e verbi arcaici, ma divertente da leggersi.

Aria

Gemme poesia Aria

Aria limpida, tersa, pulita,
senti e respira,
aria di vita.

Aria languida, felice, trasognata,
è sul tuo viso,
aria beata.

Aria di messi, di grano, di pane,
e quando manca,
aria di fame.

Aria che tira, pesante sulla terra,
e fra le genti
aria di guerra.

Aria di tempesta e di fermento,
quasi un uragano,
aria di cambiamento.

E quando passato è l’inverno,
per l’animo che spera,
aria di primavera.

Tiade 27-3-010

Ci Sto…

Parco Lambro da Liberazione70-7Sto scorrendo il fascicolo di Liberazione, Settanta, il numero sette. Millenovecentosettantasei.

Quanti ricordi! Non necessariamente belli. Ma ricchi sì. Molto ricchi.
Una foto. La manifestazione, i pantaloni scampanati, i maglioni alla norvegese.
Io non c’ero che qualche volta.

Un’altra immagine, e un’altra.
Gli operai di una fabbrica alla fine del turno, appena aperti i cancelli. Vanno che paion ragazzi all’uscita dalla scuola. Di corsa, spingendosi, con foga. Fuori da lì, alla svelta!
Io non c’ero, non sempre almeno.
Le donne con i cartelli e i figli sul braccio.
Io non c’ero quasi mai.
E il festival proletario al parco Lambro. Contro il capitale tutti nudi a danzare. E i capelli lunghi giù per le schiene, fino alle natiche sfacciate. Tutti.
Com’erano belli!
Io non c’ero, cavoli.

Era più facile trovarmi di notte, in quei sotterranei che Re Nudo invitava a disertare. Con la musica.
Meno bombe e bella gente, o quasi.
Brera.

Bastava scendere in una bettola con una chitarra e metter sul tavolo qualche gotto in più. E allora arrivavano.
Il vecchio professore d’arte con i suoi quadri, scene di caccia ed occhi sul vino.
O la Cocotte di un tempo, di cui ancora si indovinavano i lineamenti fra le guance cadenti. Uscita dalla macchina del tempo con il suo cappello dalla lunghissima piuma di struzzo. E trucco, e guanti di pizzo, e trine. Tutta in nero. Bocca Rosso ti brucio. E il canto in falsetto. Intorno a lei rivedevi la scena. Era una magia.
La notte, lo spazzino, il tranviere bloccato dal ghiaccio, l’ubriaco di cui da lontano spiavi i pensieri.
L’ultima immagine. Quella su cui il pensiero ha offuscato i ricordi.manifestazione d'ora in poi decido io
Altre donne coi cartelli ritagliati nelle lettere, ché il vento non li porti via.
D’ora in poi decido io.

Io non c’ero. Non potevo esserci. Avevo già deciso, e il mio primo bambino arrivava.

Non facevo politica?
Forse…
Ora, qui, col secondo bambino, osserviamo le immagini con sentimenti diversi.
Riscoperte.
Gli ho chiesto di osservare bene l’ultima foto, di dirmi cosa gli faceva venire in mente.
E di pensare bene prima di dar fiato alle trombe.
……………………………………………………
-L’aborto, il divorzio, il lavoro …”- Bla, bla, bla.
Eh no. Troppo facile. Quando mai ti ho reso facile la vita?
Vuol dire proprio quello che c’è scritto.
D’ora in poi decido io, perché io sono mia, aggiungerei.
Sorridi? Pensi sia uno slogan? Certo! Le donne sono abituate a destreggiarsi con gli slogan, la pentola sul fuoco, il bimbo in collo, il gatto alla salsiccia, la lavatrice che perde, il marito nel… Lasciamo pietosamente perdere dove.
Tutte cose che lasciano la voglia, e il tempo, di scendere in piazza coi figli in braccio a camminar per ore. Un po’ di palestra è tutta salute! Qualcosa sui cartelli da scrivere si trova sempre.

Io non c’ero nemmeno lì. Avevo le treccine e un bambino meraviglioso. Ero mia. Ma forse ancora non lo sapevo.

Ma cosa vuol dire esser di sé stessi?
Vuol proprio dire non appartenere a nessun altro.
-È bello appartenere a qualcuno, è romantico!- Davvero?
Appartenere ad un padre. -A una famiglia- No, no. Proprio al padre. Proprietà indiscussa. Oggetto nelle sue esclusive mani. Patria potestà la chiamavano. Potere di vita e di morte. Codice alla mano. Con le attenuanti di legge per il delitto d’onore per esser stati disonorati dalla figlia. Mica ci voleva tanto. Bastava restare incinte.
Se ti andava meglio venivi buttata fuori casa, diseredata, disconosciuta.
Se tutto filava liscio fino ad età da marito potevano sorgere altri problemi. Esser in età da marito voleva dire che la proprietà passava di mano. La dote era il pagamento del padre al marito per pigliarsi in carico una donna da sfamare. Se andava bene le spettava il corredo, la biancheria era l’unica cosa di sua esclusiva proprietà, forse. Se aveva dei beni, il patrimonio privato del marito si allargava. Ma per il bene della famiglia…
I rapporti sessuali? Dovere coniugale! Le botte? Diritto di correzione! (ius corrigendi). E zitta!
E se scappava? Abbandono del tetto coniugale, perdita del diritto di abitazione nella casa coniugale, e quasi sempre perdita dei figli come madre indegna.
-E se si rifaceva una vita?-(1) Ricordiamoci che il divorzio ancora non c’era. Bastava una denuncia anonima per pubblico scandalo, che si appellava alla pubblica decenza, ed arrivava la buoncostume, ed arrestava la pubblica meretrice e adultera che offendeva la pubblica morale e l’onore del marito.

Figli, casa, corredo, tutto sparito. Non era mica roba sua.
Era lei che apparteneva a loro.

Era un oggetto in funzione e alla mercé, era soggetta a potestà. Non era una persona, loro potevano legalmente disporre di lei.
Com’era romantico!
-D’ora in poi decido io”- voleva dire proprio quello. -Io non sono un oggetto, e nemmeno una bestia, io voglio e devo essere una Persona. Solo se vi imporrò di riconoscermi come persona sarò portatrice di diritto-.
Diritto di determinare la propria vita.
La prima che riuscì, non che provò, a ribellarsi, fu una ragazza siciliana, Franca Viola(2). Compromessa dalla fuitina avrebbe dovuto sposare il suo rapitore per salvare l’onore, e il suo rapitore che sarebbe rimasto impunito ricorrendo al matrimonio riparatore.
No, non era proprio uno slogan scritto per passatempo.
Era un urlo in coro.
Fu quell’urlo che cambiò le cose.
Più potente delle trombe di Gerico, buttò giù un muro durato millenni per loro. La schiavitù. Almeno sulla carta.
Io dov’ero? A far da apripista nella vita. Ad auto determinarmi e, come loro, sulla mia pelle.
Il Diritto di famiglia, così come oggi lo conoscete, arriva da lì. Da quelle caviglie dolenti, da quelle schiene martoriate, dagli occhi lacrimanti di fumogeni e di vita.

Tutto il resto è conseguenza. Divorzio, aborto, lavoro, studio…
Sono gli oggetti che appartengono, si lasciano usare, non sono vivi e quindi non hanno diritti.

manifestazione femminista 1976Ecco perché è importante che sappiate, figli miei, che le vostre amiche sappiano, che voi, giovani uomini, capiate.
Non è abbastanza.
Non è abbastanza dentro le teste se una delle prime cause di morte delle donne sono le violenze domestiche.
Non sarà mai abbastanza fin quando si prendono decisioni per il pubblico interesse, o la pubblica morale, o ancora, per la difesa della famiglia, cancellando la memoria storica.

E io ci sono.
Ci son sempre stata.

Ora, sarà meglio che riflettiate bene prima di decidere se starci dentro pure voi.

Tiade, marzo 2010

Note:

  1. Per il codice penale del 1930 la donna adultera era punita con la reclusione sino ad un anno. Ai fini del reato era sufficiente anche un unico episodio fedifrago. La violazione della fedeltà coniugale compiuta dal marito, invece, per essere punita, doveva assurgere a concubinato, cioè a relazione stabile con un’altra donna. [Fonte: https://castelvetranonews.it/notizie/?r=a1i]
  2. Le cose cambiarono grazie al coraggio di Franca Viola: Violentata e quindi segregata per otto giorni in un casolare al di fuori del paese, fu liberata con un blitz dei carabinieri il 2 gennaio 1966. Secondo la morale del tempo avrebbe dovuto necessariamente sposare il suo rapitore, salvando l’onore suo e quello familiare. Questa morale era supportata dalla legislazione italiana che, all’articolo 544 del codice penale, ammetteva il “matrimonio riparatore”, considerando la violenza sessuale come un oltraggio alla morale e non alla persona.
    Secondo questo articolo del codice, l’accusato di delitti di violenza carnale, anche nei confronti di minorenne, avrebbe avuto estinto il reato nel caso avesse successivamente contratto matrimonio con la persona offesa. Contrariamente alle consuetudini del tempo, Franca Viola non accettò il matrimonio riparatore. Suo padre, contattato da emissari durante il rapimento, fingerà di acconsentire alle nozze, preparando con i carabinieri di Alcamo una trappola. Quando il rapitore rientrò in paese, con i suoi amici e la giovane, i responsabili dell’azione furono tutti arrestati dai carabinieri.
    Il caso sollevò in Italia forti e alte polemiche divenendo oggetto di numerose interpellanze parlamentari.
    Con il Nuovo Diritto di Famiglia, il 19 maggio 1975 n° 151 sancirà, fra le altre cose, l’uguaglianza fra coniugi, abolendo per le donne lo stato di soggetta a potestà. In luogo della patria potestà nacque la potestà genitoriale che vedeva condivisa la responsabilità della prole. Il marito non era più capo famiglia.La donna divenne soggetto.
    Finalmente, nel 1981, il 5 agosto, il famigerato articolo 544 venne abrogato dall’art. 1 della legge 442. Non è più possibile cancellare una violenza sessuale tramite matrimonio riparatore. Questa legge abrogava anche le attenuanti per il delitto d’onore, previsto dall’art. 587, che prevedeva sconti di pena per “Chiunque cagiona la morte del coniuge [leggi “ammazza la moglie”, ndr], della figlia o della sorella [e non del figlio o del fratello, ndr], nell’atto in cui ne scopre la illegittima relazione carnale e nello stato d’ira determinato dall’offesa recata all’onor suo o della famiglia“.
    [Fonti: http://it.wikipedia.org/wiki/Franca_Viola; http://it.wikipedia.org/wiki/Delitto_d’onore]

Immagini da: Liberazione70_n7_1976