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Mi sento un'iper sfera

I Lupercali

Lupercali

Lupercali [immagine abbondante nel web senza crediti]

La festività dei Lupercali è stata soppressa nel momento in cui l’antico calendario romano, istituito da Romolo e revisionato da Numa Pompilio, fu ridisegnato prima da Giulio Cesare, nel calendario giuliano e, anche se la festa fu temporaneamente restaurata prima da Augusto e poi da Anastasio, fu infine definitivamente “occultata” dal calendario gregoriano ancora in vigore.

Giungiamo, quindi, alla più popolare festa dell’amore che venne istituita in onore del vescovo Valentino da Interamna (Interamna Nahars, Roma 176 – 273 d.C.) un paio di secoli dopo la sua morte (496 d.C.) quando il papa Celasio I decise di abolire la festività pagana della fertilità dedicata al dio Luperco (Lupercalia) per sostituirla, appunto, con il giorno di san Valentino.
I Lupercali erano consacrati a Fauno e venivano celebrati il 15 febbraio, cioè durante i «dies parentales», i giorni di onoranza dei defunti, dal 12 al 21 dello stesso mese, il cui nome, «Februarius», è connesso a «februum», «ciò che purifica», e a «Februus», «il Purificatore», cioè Dispater, il dio del mondo infero in aspetto di purificatore.

In questo periodo, allorché l’equilibrio fra il mondo umano e il mondo naturale si rompeva, Fauno diveniva selvaggio, si scatenava, anche in senso erotico. Nei Lupercali, festa che precedeva il rinnovamento primaverile, i Luperci correvano seminudi e sferzavano con cinghie in pelle di capra coloro che incontravano per purificarli, secondo il principio per cui ciò che ferisce può guarire. La «Purificata» della festa era Iuno, dèa abbigliata in pelli di capra, e il rito di purificazione rendeva feconde le donne. Il Luperco (lupo) rappresentava la purificazione, mentre la frusta (capra) rappresentava la procreazione.

La festa di Lupercalia prevedeva, oltre alla rappresentazione nel Lupercale, anche una simpatica lotteria a sfondo amoroso e sessuale: i nomi delle giovani vergini da fecondare e quelli dei giovani aspiranti “uomini-lupo” erano posti in bigliettini dentro due appositi contenitori; i due fanciulli battezzati con il latte durante il rito lupercale pescavano a turno un bigliettino formando così le coppie che avevano a disposizione un intero anno, fino alla nuova celebrazione, per provvedere alla fertilità di tutta la comunità, con la benedizione di Marte, Romolo, Pan, Fauno Luperco e delle “Grandi Madri” romane – Ruma, Rea Silvia, Fauna, Acca Laurentia – incarnatesi nel modello mitico universale noto come “La lupa”.
Pan

 Pan copula con una capra. Foto Marie-Lan Nguyen [crediti]

Questa antica festa evoca dunque anche l’ombra di Pan, il dio del Panico, figura dionisiaca collegata alla dimensione selvaggia e incontrollabile della natura (ma anche protettore dei pastori e delle selve) che incarna un’ideale di vita primitiva e comunitaria in simbiosi con l’energia panica della natura. Raffigurato con le sembianze di uomo-capra o uomo-lupo trascorre rapido le distanze, salta sulle rocce, si nasconde nei boschi per assalire le ninfe e possederle, esprimendo la sfrenata libertà di una vita senza leggi tutta immersa nel godimento.

Plutarco riferisce che nel giorno dei Lupercalia la festa partiva con l’iniziazione di due nuovi luperci, col classico rituale del coltello insanguinato posto sulla fronte dei giovani (sangue delle capre sacrificate, poi pulito con lana intrisa di latte).

Secondo il filologo francese Georges Dumézil, i Luperci rappresentavano gli spiriti divini della natura selvaggia subordinati a Fauno. Nel giorno dei Lupercalia, infatti, l’ordine umano regolato dalle leggi, si interrompeva e nella comunità faceva irruzione il caos delle origini, che normalmente risiede nelle selve.

Confrontando le simbologie rituali sopra descritte con quelle celtiche relative alla festività di Imbloc, non si possono non notare alcune coincidenze. Il periodo, febbraio, che anche se nelle diverse tradizioni differiscono i giorni, probabilmente coincidevano nelle varie epoche con il plenilunio o il novilunio. L’intento della purificazione, il sangue (simbolo mestruale?), il latte e gli armenti, simboli indiscussi della fertilità che si vuole evocare. Non è difficile che le origini di entrambe le tradizioni
siano più antiche, comuni e probabilmente legate al culto agreste più arcaico della Dea Madre.
Tratto da :
Oramala, cronache dal contado – N° 3 – Febbraio 2010
Fonti testuali: Qui

Le feste della Ruota. Imbloc (Candelora)

viola mammola

immagine: Fritz Geller-Grimm [crediti]

Il terzo Sabba dell’anno (dopo Samhain, il capodanno pagano il 31 ottobre e Yule, il solstizio d’inverno) rappresenta un momento di transizione tra l’inverno e la primavera. La Dea si appresta al risveglio e con lei la terra.

È una festa di rinnovamento dove si celebra il ritorno della luce, la ripresa delle forze dopo il parto. Ci si prepara con riti di purificazione, con la pulizia della casa, si preparano le nuove candele e il sapone, si preparano i semenzai che andranno a ingravidare la terra.
Per la civiltà agreste e pastorale, Imbloc, o “in latte”, rappresentava il momento in cui si riempivano di latte le mammelle degli armenti pronti alle nuove nascite, latte che veniva versato per nutrire la terra come offerta propiziatoria. La tradizione celtica prescriveva che si facessero passare i primi agnelli nati in cerchi infuocati con le cui ceneri le donne si cospargevano le parti intime confidando che aiutasse le gravidanze, per questo veniva chiamata la festa della fertilità e i figli concepiti in quel periodo venivano detti figli del fuoco.

Alcune tradizioni, ancora, festeggiano in questo giorno la triplice Dea, riti sopravvissuti presso alcune fonti che rappresentano la linfa e la forza vitale della Madre. Reperti votivi sono stati ritrovati presso sorgenti e corsi di acqua un po’ in tutta Europa.

Le giornate, che già da Yule si sono allungate, portano una promessa di primavera anche se incerta dal momento che febbraio, il mese della “luna di ghiaccio”, è considerato il mese più nevoso.
Il fuoco, l’acqua, la terra governati dal ciclo del cielo.
E al cielo si volge lo sguardo per trarre gli auspici per la stagione.
Noto il detto popolare che varia da dialetto a dialetto ma con una evidente origine comune. Io lo ricordo così:
Candelora, Candelora, se pioviscola o gragnola dell’inverno semo fora;
Se fa sole o solicello, siam nel mezzo dell’inverno.
Se in questo giorno il tempo sarà inclemente l’inverno e agli sgoccioli, ma se il sole sembra dire che la buona stagione è arrivata siamo in realtà in pieno inverno.

Sono gli ultimi rigori, le ultime scorte di cibo, gli ultimi ciocchi di legna da ardere, ma il risveglio è comunque imminente recando seco promesse e già, sfidando le gelate, fanno capolino i primi fiori (che non sono le primule) con le loro foglie a cuore e il loro soave profumo, le viole mammole (uniche viole a profumare) e i fiori penduli e pallidi del nocciolo. Le gemme degli alberi cominciano a gonfiarsi, gli animali a svegliarsi dal letargo e le giornate si fanno via via più luminose.
La Ruota gira donando rinnovate energie.

Le feste della Ruota

 

L’immagine rappresenta un reperto proveneinte da una tomba gallica, conservato al Museo Nazionale delle Marche di Ancona. Si tratta di una corona di foglie ed altri elementi vegetali realizzata in lamina d’oro e smalto. [immagine di pubblico dominio – crediti]

Ci sono otto ricorrenze durante l’anno, le “Feste della Ruota”, chiamate anche Sabba (ma che niente hanno a che fare con calderoni e danze demoniache), che sono le feste del calendario pagano legate ai cicli del cielo e della terra. Ai tempi dell’età del ferro coincidevano con precisi eventi astronomici, oggi sfalsati in virtù dei cicli dell’asse terrestre.

Sono tradizioni molto antiche, precedenti al cristianesimo, che non sempre è riuscito a sovrapporvisi, le cui tracce sopravvivono tutt’oggi nelle manifestazioni folcloristiche e nelle tradizioni rurali.
La civiltà agreste, che dipendeva dallo scandire delle stagioni, aveva la necessità di determinare i tempi della semina e del raccolto, aveva la necessità di invocare, con la ritualità, la fecondità della terra, di ricollegarsi al rapporto con gli avi, di determinare il susseguirsi della stagione del lavoro con quella del riposo, della stagione della luce a quella del buio, della stagione del risveglio con quella della riflessione.

Era il tempo in cui la Dea, entità legata alla luce, era una divinità femminile, ma con la sua controparte maschile, e, pur con differenti sfumature, se ne trovano reperti fin dalla preistoria nella sua triplice veste simboleggiata dalle fasi lunari a cui è legata: fanciulla, matura e gravida, anziana.

Venere di Tan-Tan, scoperta in Marocco, datata tra 300.000 e 500.000 AC. con trace di ocra rossa. Contemporanea di Homo Heidelbergensis. [pubblico dominio – crediti]

La Dea dalle molte mammelle, dal ventre enfio, dalle forme abnormi, simbolo di fecondità e abbondanza. Dea gravida e sterile che sovrintende il mondo della natura, della terra legata al cielo, del regno dei vivi e quello dei morti.
Una divinità che dall’incontro con il Dio rende prolifica la terra. Né buona né cattiva, semplicemente esiste e si manifesta in ogni ciclo dell’esistenza.
A lei si rivolgevano i contadini per invocare messi abbondanti, a lei si rivolgevano le giovani donne per esser fecondate.

HOMO HEIDELBERGENSISUn’Essenza le cui briciole si ritrovano ancora sparse per i vari continenti, soppiantata da una divinità maschile univoca che non ha invece corrispondenze con la realtà materiale della nostra esperienza terrena, una divinità maschile che può fare appello solo alla fantasia e le cui manifestazioni sono intangibili, contrapposta alla manifestazione materiale della Dea che è invece esperienza quotidiana.

Homo Heidelbergensis è un ominide estinto, vissuto fra 600 000 e 100 000 anni fa e probabile ultimo antenato comune fra noi e Homo Neanderthalensis [crediti].

Quella Dea Madre che oggi stiamo violentando dimenticandoci che da Lei dipende non solo la Vita ma la nostra stessa vita.
Quella Dea Madre che, senza pietismi, ripercorrerà il ciclo di nascita e morte, come è sempre avvenuto, come avverrà sempre, fino alla fine della Sua stessa esistenza, in una perpetua Ruota.

Il cielo di Febbraio 2019

Il cielo del 15 febbraio verso mezzanotte. Immagine Stellarium

30 gennaio 2019

Il calendario del cielo ma con un occhio alla terra. Dal nostro punto di vista eterni e immutabili come i punti cardinali. Il Nord alla stella Polare o al Nord magnetico della bussola.

Peccato che di immutabile non ci sia niente, nemmeno il campo magnetico terrestre che se ne sta andando a spasso e dopo aver stazionato nel Canada si sta facendo un giretto verso la Siberia.
Pare abbia fretta, talmente tanta che il 30 gennaio di questo anno si dovrà aggiornare il “Modello magnetico del mondo” (WMM) in anticipo di 1 anno. Sistema “alla base di tutti i sistemi di navigazione e geolocalizzazione moderni, da quelli che guidano le navi in mare a Google Maps sugli smartphone”, rivelatosi “così impreciso da superare il limite accettabile per gli errori di navigazione”. [Fonte: Le Scienze]
-Torni a bordo, cazzo!

2 febbraio – Le feste della Ruota

Imbloc – Candelora

4 febbraio – Luna nuova

12 febbraio – Luna – primo quarto

19 febbraio – Luna piena

26 febbraio – Luna – ultimo quarto

Sciami meteorici.

Sono presenti un po’ tutto l’anno tra sciami maggiori e minori. Per chi volesse approfondire Qui una lista completa.
Cliccando sul nome si ottiene una descrizione dello sciame e la sua probabile origine.

Pianeti

Per chi fosse interessato alla visibilità dei pianeti sul sito astropratica.space è scaricabile gratuitamente “Il piccolo Atlante astronomico”, ma una piccola donazione per il lavoro svolto a favore di chi opera per la diffusione della cultura scientifica è sempre ben accetta.

L’ultimo pezzo di pane

Bilancia dal lager di Trier

In giornate come questa, dedicate alla memoria, mi chiedo quale sia il compito di chi scrive. Mi chiedo se usare il ben dell’intelletto serva solo a raccontare storie, a descrivere emozioni e non anche a tramandare sentimenti che dovrebbero essere la giusta evoluzione dell’essere umani.

Quella che si definisce umanità, società civile, sembra soffrire di una sorta di amnesia collettiva ricordando le conseguenze ma non l’origine dei fatti. Io credo che chi scorda il proprio passato sia condannato a riviverlo.
Per questo scelgo, nel mio piccolo, di rivendicare il diritto alla vita, il diritto all’acqua e al cibo, il diritto ad essere uguali, il diritto della Specie a muoversi su un pianeta del quale siamo tutti ospiti allo stesso modo.
Per questo nel “Giorno della memoria” non solo io ricordo, non solo porto testimonianza, io chiedo anche a chi scrive di non tacere, di ricordare a sua volta, di opporsi al rigurgito dell’odio, di non vergognarsi di essere umano.

Resistenza, si, una resistenza, una forza individuale, e per quel che si poteva, collettiva, resistenza del nostro “io” morale, della nostra personalità che veniva gradualmente sommersa, veniva gradualmente soffocata sotto tutta quella sofferenza;
resistenza a noi stessi, resistenza morale che consentiva talora anche la resistenza fisica. Si era ridotti ad un peso di 30-35 chili; eppure si durava, si durava perché si voleva tornare, si voleva tornare uomini nel mondo.
La solidarietà si allenta; eppure quando soltanto una fiammella del nostro spirito rimane, al fratello morente si da l’ultimo pezzo di pane perché possa avere ancora un quarto d’ora di vita“. (Piero Caleffi)
[Da “La nostra Resistenza ” edito dal Comune di Milano, Ripartizione Educazione, nel 1964 – distribuito nelle scuole]

La rudimentale bilancia nell’immagine è un simbolo, un monito, un cimelio storico, forse unico, che apparteneva a mio padre internato nel lager di Trier. Veniva usata per spartirsi quel pezzo di pane che per alcuni poteva esser l’ultimo.
Chi era fisicamente in grado spaccava pietre anche per chi non poteva, resisteva anche per chi non ne era in grado, perché la resistenza fosse quanto più possibile collettiva. L’umanità così si affermava sulla disumanità e sull’egoismo.

Albera Andrea, Stalag n. XII D, Trier – TRIANGOLO ROSSO – Comunista.

Nei campi di sterminio nazisti il triangolo rosso (con il vertice verso il basso) era il simbolo che identificava i prigionieri politici, ed accomunava a tutti i contestatori del regime nazista – in particolare i comunisti (da cui la probabile scelta del colore) e i socialisti -, nei confronti dei quali era stato emesso un mandato di arresto per motivi di “sicurezza”.

Dopo la sconfitta del nazismo e la liberazione dei campi, molti di questi simboli sono stati orgogliosamente rivendicati dalle rispettive categorie, come segno di identità e di resistenza sia alla barbarie nazifascista, sia ai pregiudizi sociali che spesso ancora oggi suscitano. In particolare, il triangolo rosso è assurto a simbolo di antifascismo militante da parte di organizzazioni e militanti di sinistra, specialmente in paesi come la Francia, il Belgio e la Germania.

Cenni storici:
Il campo XII D di Trier per soldati nemici, é lo stesso lager dove fu internato il filosofo Jean Paul Sartre che lí scrisse il dramma “Bariona o il figlio del tuono” incentrato sul rapporto tra madre e figlio e nel quale i credenti, compagni di sventura, trovarono una sorta di sollievo non potendo celebrare il natale.

L’ignavia dei più che non seppero riconoscere la bestialità delle leggi razziali portò allo sterminio, oltre che degli ebrei, di russi, omosessuali, zingari di varie etnie, comunisti, mongoloidi, gente del sud (italiani compresi), e tutti coloro che venivano considerati subumani.

Dodici milioni di persone sterminate nelle camere a gas, attraverso eliminazioni di massa, iniezioni di benzolo, per fame e privazioni, distruzione fisica operata anche nelle “infermerie” (dove anche ai bimbi si rompevano le ossa tante e tante volte per vedere quando avrebbero smesso di saldarsi). Troppe sarebbero le atrocità da ricordare, compresi i bimbi strappati al ventre delle madri, che solo scriverle mi fa star male.
Censura, proibizionismo, coprifuoco, razzismo, furono le loro armi che pian piano si trasformarono in una delle più spaventose dittature che il mondo ricordi.

Stiamo assistendo al riaffermarsi delle ideologie che tanto orrore hanno causato, davanti all’indifferenza dei più e oggi, come allora, si mal sopportano i “diversi”. Non passa giorno che qualche muro non sia imbrattato da motti di antica memoria, i principali network sono infettati da miriadi di gruppi di novelli nazifascisti portatori di nuovi incendi, miriadi di ignoranti negano la storia e li sostengono. Si ripresentano situazioni di emarginazione a seconda delle etnie, si trova normale assistere allo sprofondare non solo di corpi ma dello stesso Umanesimo, della morale e di un’etica che ora è scomoda.

Gli ignavi, oggi come allora, “non vedono”.
Oggi come allora l’umanità aspetterà di svegliarsi all’inferno?
In questo caso l´intolleranza è un valore, è un diritto, è un dovere. È difesa di quell’umanità che troppo spesso si è rivelata disumana.
Oggi più che mai urge il bisogno di reagire opponendosi con tutti i mezzi al radicamento della ferocia.

Questa pagina è dedicata a mio padre, Andrea, a cui, a causa dell’incendio degli archivi militari, non è mai stato riconosciuto lo stato di deportato.

Tiade, 7 lug 016

Tre parole per il 2019

Olimpo, paesaggio

Anche quest’anno accolgo l’invito di Penna Blu a trovare “tre parole guida per il nuovo anno”.
In realtà non le ho scelte io, mi hanno scelta loro perché non può essere altrimenti.

La prima è Resistenza:

Per questa parola prendo in prestito le parole di Piero Caleffi.
“Resistenza, sì, una resistenza, una forza individuale, e per quel che si poteva, collettiva… resistenza a noi stessi, resistenza morale che consentiva talora anche la resistenza fisica”.
La prendo in prestito per me stessa, per chi come Fleba il fenicio è sopraffatto dalle onde, per chi a un cielo di stelle preferirebbe un tetto sulla testa, per chi vorrebbe non dover frugare fra gli avanzi dei mercati, per chi spera il futuro guardandolo in controluce nel buio di un’esistenza lacrimosa.
La prendo in prestito e la faccio mia trovandola, insperata, nel corpo fisico e nella volontà di non arrendersi.

E di conseguenza Resilienza:

Fatto salvo il corpo, circa, il resto tocca alla mente e non farsi sopraffare dagli eventi. Forse la Resilienza è solo cocciutaggine, la volontà ferrea di non arrendersi nonostante tutto e tutti. Rifarsi daccapo mille e mille volte. Come la casetta in Canadà incendiata da Bingo Bango, come la tela di Penelope, che almeno aveva la consolazione di una distruzione volontaria. Daccapo? Sì, daccapo.

Allora diventa Perseveranza:

Percorrere il proprio sentiero, secondo la propria indole, senza chiudersi alle scoperte e alle novità, ma senza lasciarsi distrarre dalla strada intrapresa. Tutto funzionale a uno scopo che è qualcosa di più di un sogno, e perseguirlo pensando che il tempo sia infinito. Riempire un vuoto, materiale e immateriale. È lì che voglio andare, proprio lì e non da un’altra parte. Quella è la mia meta, lo è sempre stata e lo sarà fino alla fine dei miei giorni.

Sull’Olimpo.

Il cielo di Gennaio 2019

31 dicembre 2018

La missione della sonda OSIRIS-REx della NASA, entrerà nell’orbita di un asteroide, dal nome legato alla mitologia egizia, Bennu, per riportare a terra campioni del suolo e studiarne l’orbita, visto che rientra nella categoria degli oggetti a pericolo di impatto col nostro pianeta. L’articolo completo, ricco anche di informazioni mitologiche, legate al nome, e scientifiche, sulle perturbazioni gravitazionali che possono modificarne l’orbita, potete trovarlo su “Le Scienze“.

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Immagine cielo gennaio 2019 - Quadrantidi - Da Stellarium - Open Source
Immagine cielo gennaio 2019 – Quadrantidi – Da Stellarium – Open Source

3-4 Gennaio – Quadrantidi

Uno degli sciami più corposi con una intensità di circa 120 meteore all’ora nell’arco di 6-8 ore. Le ore più propizie variano a seconda della latitudine. “Dall’Italia centro settentrionale il radiante è visibile per tutta la notte, ma dal tramonto a mezzanotte risulta troppo basso per ottenere osservazioni soddisfacenti, occorre pertanto osservare da mezzanotte in poi per vedere via via aumentare il numero delle stelle cadenti. Per latitudini inferiori (all’incirca di Napoli) l’osservazione è ancor meno agevole, poichè il radiante risulta tramontare verso le 20 e quindi poco dopo sorgere nuovamente“. [fonte UAI]
Quest’anno l’assenza della luna dovrebbe facilitare l’osservazione, meteo permettendo. Per individuare la zona di provenienza (radiante) bisogna orientare lo sguardo a Nord-Est allenandosi a riconoscere le costellazioni riportate nell’immagine.
Il corpo progenitore delle Quadrantidi è stato recentemente identificato in modo provvisorio come l’asteroide 196256 (2003 EH1), che a sua volta potrebbe essere la cometa C/1490 Y1, osservata dagli astronomi cinesi, giapponesi e coreani 500 anni fa” [fonte Wikipedia].

5 gennaio – cometa Wirtanen

Può continuare l’osservazione della cometa di Natale (Wirtanen) che, diventando circumpolare attraversando la costellazione dell’Orsa Maggiore, può ora essere osservata per tutta la notte. [fonte astroshop]

6 gennaio – Luna nuova

14 gennaio – Luna crescente

20-21 gennaio – Luna piena – Eclisse totale

La luna piena di questo mese coinciderà con un’eclisse totale di luna, chiamata luna di sangue per il colore rosso che la contraddistingue “legato al fatto che i raggi solari che colpiscono la Luna sono quelli filtrati dall’atmosfera della Terra, che non riesce a bloccare la porzione rossa dello spettro”  La luna si troverà quasi alla distanza minima dalla terra e questo ne fa una superluna anche se non paragonabile a quella del luglio 2018, la più lunga del secolo.[fonte Fanpage]
L’eclisse avrà inizio verso le ore 3:30 e vedrà il suo culmine verso le ore 6:10. Purtroppo tramonterà prima della conclusione dell’evento che comunque non va perso. Su “Astronomia pratica”  il pdf con consigli e istruzioni per una migliore osservazione.
Da ricordare: le eclissi di luna coincidono sempre con la luna piena.

24-25 gennaio – Tradizioni

Curiosità:

La tradizione popolare vuole che si espongano alla notte dodici cipolle dando ad ognuna il nome di un mese. Quando si ritireranno al mattino, osservando le loro condizioni, si trarranno previsioni sul meteo del mese corrispondente.

27 gennaio luna calante

29-30-31 gennaio – I giorni della merla

Sono così chiamati i giorni che si considerano i più freddi dell’anno legati a unaeggenda che vi ripropongo Qui.

I giorni della merla

Ghiaccio della Merla

C’è una leggenda che riguarda gli ultimi tre giorni di gennaio, considerati i più freddi dell’anno, la racconto a voi così, come le mie ave la raccontarono a me.

A quei tempi i merli erano bianchi, per meglio mimetizzarsi con la neve d’inverno, come a volte se ne vedono ancora.
Erano molto belli e giustamente fieri del loro piumaggio candido che luceva al sole.
Come oggi, costruivano i nidi tra le siepi o nei giardini, vicino agli umani, dove trovavano tra stalle e stagni, campi e orti, abbondanza di insetti d’estate e avanzi di frutta e bacche d’inverno. In cambio donavano il canto melodioso che li contraddistingue anche se, a volte, voleva dire finire in gabbia.
Quell’anno però il freddo fu talmente freddo che anche il ghiaccio tremava.
Ai polli gelavano le creste e si rifugiarono nelle stalle insieme ai conigli a cui gelavano naso e orecchie, ospitati dai pazienti bovini che gradirono un po’ di compagnia.
Il gatto fece tregua coi sorci e condivisero il canto del focolare.
Persino le siepi erano pietrificate da fiori di ghiaccio e la paglia nel fienile talmente indurita da non potervi fare un buco.
I poveri merli invece non riuscivano a trovare riparo dal gelo.
Il buio avanzava, piegato anch’esso sotto il peso del ghiaccio. Se non trovavano un riparo alla svelta non avrebbero visto la luce del giorno.
Stavano per cedere alla disperazione quando, vedendo il fumo uscire dal grande camino di pietra, al merlo venne un’idea.
-Ripariamoci lì dentro, dove esce un po’ di calore, domani, quando uscirà il sole cercheremo un altro riparo.
Così fecero.
Il merlo, più spavaldo, riuscì a infilarsi dentro il camino in un anfratto della pietra calda. La merla, più timorosa, come tutte le merle, si accoccolò sotto il torrino del comignolo, anche se stava un po’ scomoda, sperando che il nuovo giorno sciogliesse gelo e paura.
Ma il giorno arrivò e il gelo non si scioglieva.
E poi arrivò un altro giorno, e persino il canto gelava nelle gole.
Di giorni ne passarono tre e, quando ormai disperavano di salvarsi, finalmente il sole fece capolino dietro le nubi assiderate.
Spinti dalla fame si decisero allora ad uscire da quel riparo improvvisato, ma non erano più gli stessi.
Il merlo era tutto nero dalla fuliggine che saliva dal camino, e la merla affumicata, con la livrea picchiettata dalle faville che le avevano bruciacciato le penne.
Da allora i merli sono rimasti così, per ricordarsi, e per ricordare a tutti noi, che gli ultimi tre giorni di gennaio sono i più gelidi.

Da allora quei giorni, in onore del loro patire, vengon chiamati “i giorni della merla”.

Tiade 31 gennaio 2018

Il libro nuovo

Copertina Mattutini
A causa della truffaldineria non dimestichezza con la correttezza le leggi sulla stampa e la disciplina sul Diritto d’Autore di chi era incaricato della stampa, la pubblicazione cartacea subirà un ritardo.  Sarà mia cura avvertire chi l’ha prenotato non appena riuscirò a trovare una tipografia che intenda fare ciò per cui si propone senza tentare sotterfugi contabili.
Con l’occasione, appena avrò cinque minuti liberi, scriverò un testo a beneficio di coloro che intendono auto pubblicarsi con le informazioni di legge corrette.

E questo per oggi è l’ultimo articolo, anche perché son stufa di litigare col server.

L’immagine è un’anteprima della copertina del libro e se devo esser sincera è la mia prima copertina in assoluto. Alle critiche stabilire se sarà anche l’ultima. Ho cercato di seguire i consigli di Daniele Imperi, a cui va il mio ringraziamento, nel suo utilissimo blog “Penna Blu” dove pone la domanda “Perché non avete intenzione di fare tutto da voi, vero?”. La mia risposta è sì, gioco forza, sperando di aver fatto qualcosa di meglio degli orrori da lui segnalati, in caso contrario spero non me ne voglia.
Un ringraziamento anche a Barbara Businaro che, insieme agli ospiti del suo blog “Webnauta” , mi hanno dato le dritte giuste per non impazzire del tutto ché la cosa più complicata è stata riuscire a infilare nel testo i numeri di pagina ad hoc. Mi consola il fatto che il web è pieno di richieste di aiuto in tal senso.
Insieme alla copertina spero gradiate un piccolo estratto e il testo della “quarta”.
Per quanto riguarda l’acquisto devo ancora capire come funzionano sia il carrello che i versamenti per la stamperia. Non c’è niente da fare, sono imbranata per le cose che riescono ai più, in compenso me la cavo in cose che i più spaventerebbero.
So che non farò in tempo a sistemare il carrello e gli estremi per i pagamenti per Natale, meno che mai a spedire per tempo, anche se non ho l’illusione di vendere alcunché, occasione persa, ma almeno mi levo la soddisfazione di mostrare le mie fatiche sperando siano apprezzate.

Che dite, me lo merito un caffè caldo?
Alla prossima.

Tiade


Mattutini e polvere da sparo – Massimo Visconti – pg. 160 – € 13.00

È al mattino presto, quando il creipuscolo appena rivela la luce, o quando ancora il buio avvolge il silenzio, che pensieri e ricordi affiorano pervasi di malinconia scherzosa.
     Presente e passato si mescolano, ma l’animo paventa il futuro. Grillo parlante e unica confidente, la gatta Carabina.
     Il tempo è scandito dalle stagioni e “l’orologio di Dio” è il cachi selvatico che troneggia nel parco del poligono di tiro.
     Nello sfogliarsi dei rimpianti, e della vita, il Leopardo conquista la sua vetta, lasciando dietro di sé orme indelebili.

Mattutini estratto - Mattutino

Mattutini estratto - Donne

Il mio mondo al microscopio

 

Il mio mondo al microscopio
Pianeta Tiade – Immagine di sfondo Stellarium

Perennemente divisa tra cielo e terra la vita quotidiana sta nel mezzo, ma sono perennemente in ritardo su tutto, quando il destino si diverte a sconvolgerti i piani non c’è modo di tenere un “calendario editoriale”. Inserirò ugualmente i testi che avevo già pronti, anche se in ritardo, spero anche di riuscire a inserire adeguatamente il libro e i quadri con i giusti crismi per l’acquisto sul sito (visto che mio figlio si è stufato di supportarmi), anche se per natale non farò più in tempo con le spedizioni, e sempre che “Error establishing a database connection” la faccia finita di rallentarmi.

Ho intanto modificato l’immagine de “La lunga notte”, mi spiace che sia sganata ma è una gif estratta da un video fatto con la mia minuscola macchina compatta, di meglio non potevo. Tra i tanti sogni nel cassetto la macchina fotografica, che mi permetta di fare video deceni oltre che macro e micro, non è la priorità, resterà un sogno fra i tanti e non il più importante.
Ho inserito anche l’articolo sull’anniversario dell’eccidio di piazza Fontana, a Milano, una data che non posso dimenticare, il perché lo potrete leggere, se vi va.
Volevo anche inserire un articolo sulle stelle cadenti di questo mese e sulla cometa la cui visibilità massima è stata ieri 16 individuabile nella costellazione del Toro, il mio segno (speriando sia di buon auspicio, per chi ci crede), nubi e luna permettendo. Ma proprio non ce la faccio. Mi auguro di avere più tempo nell’anno entrante condividendo con chi mi legge la mia fascinazione per il cielo.

Spero che i banner non infastidiscano troppo, anche se vorrei riuscire a ridurli, sono il giusto, minimo, compenso per chi mi ha fatto il sito con tutti gli annessi e connessi. Gratis, anche se sta disperatamente cercando un lavoro da casa, data la sua salute, che non riesce a trovare nonostante le sue indubbie capacità.

Intanto, tra una botta di tosse e l’altra, una scatoletta di tonno, due fette di pan carrè e la maionese, che di cucinare non mi passa manco per il capo, vedo di sbrigarmi così rientro a letto con la boule dell’acqua calda (suprema invenzione di ecologia e risparmio) e spengo la stufa, che la bombola deve durare più di venti giorni. Spero solo che la temperatura non si abbassi troppo, per ora 6,5 gradi sono sopportabili anche se le dita faticano a scrivere, c’è chi sta ben peggio, spero solo che non si ghiaccino i tubi dell’acqua. Devo riempire le taniche che non si sa mai. Prima o poi pubblicherò anche le mie “Cronache di ordinaria resistenza”, come mi ha consigliato Barbara, prima o poi.
Devo ricercare lavoro, come badante, che le segretarie “attempate” non vanno di moda, meno che mai da casa, senza auto e senza patente. Sperando di non trovare una famiglia troppo truffaldina, come troppo spesso ho trovato. Ma questa è un’altra storia che . mi riprometto di documentare. Ormai mi sono definita “La ragazza con la valigia sempre pronta”. L’intervento che dovevo fare aspetterà, come la casa da sistemare, come il geometra e come tutto il resto.
Intanto, il migliore augurio che mi sento di farvi è “Che la vita con voi non sia troppo dura”, nel caso “Buona Resistenza”.
Confidando nella clemenza di Madre Natura, che non mi ha mai abbandonata, vi saluto, sperando di non avervi annoiato.

Tiade

p.s. – Nell’attesa che il server mi facesse il piacere di farmi rientrare nel mio sito ha pure nevicato. Sempre meglio del gelo.